Giada e Diaspro da Lodainn

Giada e Diaspro da Lodainn

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Generalità

Nome: Giada e Diaspro da lodainn
Razza: umani
Sesso: Femmina e maschio
Età: Circa 20 anni
Allineamento: Caotico Malvagio
Classe: Warlock
Piano d'Origine: Primario materiale, domhan, oileanra, lodainn

Descrizione fisica

Gemelli poco più che ventenni dai lineamenti adrogini, fisico asciutto e attraente, capelli biondo cenere e grandi occhi azzurro cielo. Altezza nella media, labbra sottili, voce gentile e suadente, modi garbati. Indossano spesso abiti sobri ed eleganti, preferibilmente di colore bianco.

Descrizione caratteriale

Schivi e riservati, si mantengono gentili e cortesi con chiunque, senza di fatto esprimere grandi emozioni al di fuori di ciò che ci si aspetta da ogni data situazione. In presenza di molte persone tendono a rinchiudersi in un guscio di silenzio, o semplicemente limitarsi a osservare ciò che gli accade intorno. L'unica persona con cui si sbilanciano senza alcuna difficoltà il gemello - anche in sua assenza sembra non riuscire a non nominarlo o non rifugiarsi nel suo ricordo per mantenersi al riparo da chiunque altro.
Questo forte legame, l'unico che abbiano mai avuto, li ha resi completamente privi di empatia, rispetto o comprensione per chiunque non sia il proprio gemello stesso. Fatica a considerare gli altri esseri umani (o nani, o elfi) qualcosa di più di "comparse" nella loro esistenza: rimpiazzabili in ogni caso senza eccezioni, e privi della capacità di gioire o soffrire che, nella sua visione distorta delle cose, sembra essere esclusiva di loro.

Storia

Dai documenti personali di Giada da Lodainn

"Scrivo queste righe nella quiete della notte nella speranza che, se il peggio dovesse avvenire, esse mi sopravvivano e raggiungano qualcuno che, mi auguro, saprà porre fine a tutta questa follia.

Da dove cominciare? Non sono che un mercante di stoffe, e trovare un modo di rendere gradevoli le mie parole a chi avrà modo di leggerle mi risulta difficile. In gioventù era mia moglie Agata a occuparsi della corrispondenza, degli inviti, di tutto ciò che richiedeva grazia e cortesia. Tutto sembra così arido, da quando mi ha lasciato.
Ci sposammo non ancora ventenni, in primavera. Ricordo la gioia della mia famiglia, i migliori auguri dalle corporazioni mercantili di Lodainn, la leggerezza dei suoi modi - indossava un abito bianchissimo, come un croco a primavera. Non dimenticherò mai quel giorno, e quelli che seguirono. I giorni in cui concepimmo quella che, pensavamo, sarebbe stata la giusta coronazione di un futuro che già si preannunciava roseo.
Attendemmo con ansia, insieme, che i mesi passassero. La nostra domestica, che era levatrice, aveva detto che si trattava di due gemelli, maschio e femmina. Il denaro non mancava, e ciò non fece che accrescere la gioia dell'attendere, dello scegliere un nome per il piccolo e la piccola. In onore di lei, decisi di chiamarli Giada e Diaspro. Ricordo che Agata arrossì e mi accusò di stare ancora dando più importanza a lei che a loro, ma non me ne curavo, ai tempi, volevo soltanto che ogni cosa mi ricordasse colei che amavo.
Fu il mio primo errore, ripensandoci a distanza di anni.

Nacquero in pieno inverno, a tarda notte. Dalinia, la domestica, rimase con lei mentre mi maledicevo per le stanze della casa. Ricordo di aver fissato ogni crepa nel muro, ogni intaglio in ogni porta per dimenticare la paura di perderla. Mi dicevo che, quando fosse uscita dalla camera sorridendomi, la mia casa non mi sarebbe sembrata più così orribile come in quei momenti. Non fu così, mai più.
Dalinia uscì dalla stanza, invecchiata di anni. Emorragia. Era riuscita a salvare i piccoli ma per Agata, la mia bellissima, dolcissima Agata, tutto era stato vano.
Presi in braccio i due bambini, così fragili, così identici tra loro. Non udivo le parole di Dalinia, fissavo la mia Agata nel letto, i capelli gettati alla rinfusa come paglia secca, lo sguardo vitreo e spento, le lenzuola inzuppate del sangue - sangue che mai avrei voluto dover vedere.

Degli anni che seguirono ricordo l'abito nero che smisi di portare solo quando fu troppo liso e sgualcito, i bambini (i 'miei' bambini? Non sono mai riuscito a immaginarli in questi termini) intenti a crescere giocando tra loro, accuditi da Dalinia (che già allora mi sembrava così vecchia), affari tra Antrim e Lodainn, la preoccupazione di sfamare chi ancora viveva con me, e Agata che vedevo riflessa in ogni finestra, in ogni nuova primavera, nei crochi bagnati di rugiada in giardino. Null'altro, per quasi un decennio.

Giada e Diaspro (mi pentii a lungo di aver deciso di onorare la memoria di mia moglie scegliendo davvero quei nomi) erano, secondo Dalinia, entrambi intelligenti e sensibili, ma schivi e introversi. 'Hanno l'animo di un poeta', mi disse un giorno, 'ma ricordate che l'animo di un poeta senza amore è l'animo di un assassino.'
Forse la vera poetessa di casa era lei, ma sapevo bene che si riferiva al mio ostinato silenzio, al mio voler avere il meno possibile a che fare con loro - quella ferita che non mi concedevo di lasciar rimarginare stava finendo per ripercuotersi sui miei figli, frutto innocente di un passato perduto.
Non cedetti. La memoria di chi avrei voluto al mio fianco superava di gran lunga ogni attenzione io potessi concedere a chi, al mio fianco, si trovava davvero.
Diaspro un mattino fece un disegno. Uno scarabocchio, come fanno i bambini: raffigurava lui e sua sorella, mano nella mano, Dalinia seduta in disparte a tessere, e una sagoma vuota indistinta, poco lontana da loro.
'Perchè non hai finito di disegnare il papà?', gli chiese Dalinia.
'Non avete capito', intervenne Giada, 'papà Diaspro non l'ha mai disegnato. Quella è la mamma.'
La stanza della nostra domestica è accanto alla mia. Per settimane, la sentii svegliarsi di soprassalto durante la notte, soffocando un grido mentre sobbalzava.
Avrei dovuto capire. Avrei dovuto fare qualcosa.
Fu in quegli anni che entrambi mostrarono una certa inclinazione per la magia. La mia Agata aveva studiato dai Maghi del Labirinto di Tyrantius, ma non avevo mai pensato che avrebbero potuto ereditarne le inclinazioni e la vocazione. Tutto in loro parlava di lei, la stessa voce gentile, lo stesso sguardo assorto, i capelli così biondi, gli occhi come il mare.
Assunsi un maestro, un mago del quartiere in cui viviamo, perchè insegnasse loro i rudimenti dell'Arte… con scarso successo. A detta dell'uomo (un anziano mago originario di Vesper, con la barba grigia come siamo abituati a immaginarli noi profani) i gemelli avevano talento, ma erano troppo distratti l'una dall'altro, e troppo indisciplinati, per metterlo davvero a frutto. Mi consigliò, se proprio ci tenevo, di organizzare il loro ingresso all'Ateneo quando avessero raggiunto l'età adatta. Ma non erano Agata, e finii per ignorare qualunque vocazione, qualunque desiderio avessero. Era mio dovere vestirli, nutrirli e far sì che i loro capricci fossero accontentati. Mi illudevo che non servisse altro.

Una sera d'autunno Giada tornò a casa inseguita da Diaspro, con un sorriso felice e un grosso gatto nero dagli occhi verde intenso tra le braccia. L'avevano trovato vicino al porto, diceva, e avevano intenzione di tenerlo. 'Vogliamo chiamarlo Malachite', sentenziò orgogliosa, 'così sarà il nostro fratellino!'
Provai una fitta al cuore - non poteva saperlo, e certo era stupido pensarla a quel modo, ma così dicendo stava offendendo la memoria (mia, personale, egoistica) che avevo della loro madre - della mia Agata.
Non volevo ferirli impedendo loro di tenere quel gatto, anche se sapevo che ogni volta che l'avessi visto sarebbe stata per me un'ennesima derisione del destino per ciò che mi aveva riservato. Quando Giada lo posò a terra, notai che respirava a fatica, ringhiava e soffiava nella mia direzione e in quella di Dalinia. Gli unici che sembrava tollerare erano i bambini.
La domestica mi prese da parte.
'Signore, credo sia rabbioso. Soffia come un demonio, non vorrei che i piccoli si facessero male… forse è meglio sbarazzarsene, prima che succeda qualcosa.'
Non potei essere più d'accordo. Con una scusa (altri libri da leggere, nuovi racconti su cui fantasticare a vuoto, pensavo) Dalinia li portò in biblioteca, e io mi ritrovai solo nella stanza con il loro 'Malachite' che soffiava, ringhiava e inarcava la schiena, pronto a balzarmi sul viso o correre sulle pareti, o qualcosa di altrettanto pericoloso e fastidioso.
Non fu una grande impresa, trovare il momento giusto per spezzargli il collo.

Lo seppellii fuori dalle mura della città quella stessa notte. 'Dov'è andato Malachite?', chiedeva Diaspro cercando sotto le sedie. 'E' un gatto del porto', rispondeva la nostra governante con il suo sorriso sereno, 'sarà andato a farsi una scorpacciata di pesce.'
Ricordo l'occhiata di Dalinia in quel momento, quasi temesse che parlassi rovinando tutto. Non ho mai avuto l'animo del bugiardo, anche se da un mercante è il minimo che tutti si aspetta. E così fu 'sarà andato a farsi una scorpacciata di pesce', 'l'ho visto passare sul tetto ma è corso via' e 'forse è scappato nel bosco, sicuri non fosse una lince?', ogni volta che, nei giorni seguenti, i bambini si ricordavano dell'assenza di quel loro animale.
Avevano dodici anni. Giada scriveva racconti bellissimi, a detta di Dalinia, e Diaspro disegnava i personaggi di cui la sorella narrava. Non ebbi mai il tempo (così mi dicevo, almeno) di leggerne uno, ma ricordo gli scarabocchi di Diaspro sparsi per la biblioteca. A volte, nei paesaggi che ritraeva (le mura di Lodainn, la foresta vista dalla torretta della nostra villa, il porto) scorgevo appena abbozzato il profilo di quella che sembrava la stessa figura che gli avevamo visto disegnare anni prima.
Ma non avevo tempo, come dicevo, di curarmene. Da giovani tutti facciamo strani pensieri.

Un pomeriggio li sentii ridere felici, in giardino. Non si separavano mai, e ormai i loro coetanei stentavano a riconoscerli o rivolgere loro la parola. Sembrava che gli unici momenti felici fossero quelli che passavano insieme, che comprendevano invero la maggior parte della loro giornata. Sporgendomi dalla finestra per guardare cosa li rendesse tanto allegri, li vidi chini, intenti ad accarezzare e giocare con un altro gatto. Feci per scendere e avvisare Dalinia di controllare che questo fosse -se non altro- sano ma, mentre mi voltavo, notai chiaramente gli stessi occhi verdi che ricordavo qualche settimana prima. Mi volsi di scatto, tornando a osservare i miei figli e quell'animale - camminava, accettava le loro carezze, i suoni che sentivo erano tutto sommato miagolii sommessi… ma era sporco di terra, e la testa pendeva verso il suolo, come un braccio spezzato pende inerte dal gomito.

Mi chiusi nella mia stanza per il resto della giornata, le mani tra i capelli, chiedendomi cosa mi stesse succedendo - stavo impazzendo, infine? Dodici anni di lutto, forse, stavano davvero portando la mia mente a vedere ogni cosa attorno a me come uno scherzo grottesco, un susseguirsi di orrore insensato? Quando riuscii a trovare le forze -il coraggio- di uscire dalla mia camera Giada mi corse incontro abbbracciandomi. Rideva, e prima di correre via mi disse "l'abbiamo cercato tanto, era nel bosco, avevamo tanta paura che fosse scappato!"

Dalinia aveva passato il pomeriggio in cucina, e mi confermò che Diaspro le aveva parlato di un gattone nero chiamandolo Malachite ("vi preoccupate troppo, è normale che abbiano dato lo stesso nome a un altro gatto") che alla fine avevano dovuto riportare nel bosco perchè sembrava che avesse fame e in giardino non si erano più posati uccellini da quando il micio era lì.
Mi convinsi di avere semplicemente visto ciò che la mia insonnia mi faceva vedere, un amico alchimista mi prescrisse alcune erbe che mi avrebbero, a sua detta, rilassato, e sperai che non fosse nulla più di questo.
Negli anni successivi li vidi sempre meno. A volte li vedevo incamminarsi verso la penisola oltre il porto, mano nella mano, e tornare solo a tarda sera, sorridenti e spettinati. Oppure uscivano dalle porte della città, strappando a Dalinia la promessa di non dirmi nulla e non preoccuparsi, tornando a volte dopo giorni. Le scuse non erano il loro forte, dicevano spesso di uscire per "andare a trovare Malachite". Diaspro iniziò a collezionare esemplari curiosi di insetti e altri piccoli animali trovati qua e là nel bosco. Giada si limitava a osservarlo e sorridere, mentre lui riempiva interi quaderni di studi sull'anatomia di questo o quell'animale.

Dalinia intanto invecchia sempre di più, e mi meraviglio che, dopo ogni inverno, trovi ancora le forze di sbrigare le faccende di casa. Persino ora la sento al piano di sotto che cammina, quasi trascinandosi ormai, impegnata probabilmente nel sistemare le ultime cose prima di coricarsi. Credo stia pretendendo da se stessa più energie di quante possa averne, ormai.

Una mattina di due settimane fa si sono presentati nel mio studio, mano nella mano come sempre.
"Padre, abbiamo riflettuto a lungo…", ha cominciato Diaspro,
"…e ci sembra che la cosa migliore per tutti sia lasciare questa casa.", ha concluso per lui Giada.
Impegnato com'ero nello stilare ordinazioni ho impiegato qualche attimo a realizzare che avevano davvero appena pronunciato quelle parole. Ho alzato lo sguardo verso di loro: Giada reggeva tra le braccia quello che sembrava un fagotto rinsecchito, chiazzato di cotone nerastro qua e là.
"Nel tempo, spero non vi offendiate, abbiamo capito che…"
"…non esiste un luogo dove possiamo essere felici uno senza l'altro, ma…"
"…ogni luogo è più felice di questo."
"Dunque, con…"
"…o senza…"
"…il vostro permesso, abbiamo deciso che è meglio per tutti,"
"Per voi, per Dalinia, per Malachite,"
"Se partiamo in cerca di qualcosa di miglioreoffre questa città offrite qui."

Non ho saputo cosa dire, ho solo potuto annuire e -credo, almeno- balbettare delle scuse rivolto a entrambi, mentre Giada (Giada, la bambina, la 'mia' bambina) mi sorrideva e si voltava, uscendo mano nella mano con Diaspro (Diaspro che disegnava la madre, Diaspro e i quaderni di anatomia).
Il fagotto mummificato tra le loro braccia mi ha fissato con due enormi occhi verdi.
Non ho detto a Dalinia della chiazza di vomito nel mio studio, ho fatto del mio meglio per pulirla da solo, senza farla preoccupare. Senza doverle spiegare nulla.
Ho inviato una lettera ai Maghi del Labirinto in fretta e furia sperando che non sia troppo tardi, ma sono ormai giunto alla dolorosa conclusione che essa si sia persa nei tumulti che stanno sconvolgendo le nostre isole da tempo - dicono che è questione di giorni prima che gli orchi conquisitino anche Tyrantius, e nulla mi fa pensare che ci sia stato il tempo per prendere in considerazione la mia richiesta d'aiuto.

Giada e Diaspro hanno preparato le loro cose - non ho mai visto piangere Dalinia prima di queste settimane, ma ora il suo cuore sembra sul punto di cedere -, è questione di giorni prima che partano. Forse avrò fortuna: i maghi ospiteranno anche loro, e potrò rimediare alle mie colpe, a ciò che ho fatto dei miei figli.
Se questo non dovesse accadere, lascio questa lettera come testimonianza di ciò che è accaduto tra queste mura, in questi anni. Qualcuno più saggio di me, forse, leggendola saprà cosa fare.
Sento i passi stanchi di Dalinia sulle scale, geme, fa persino fatica a parlare, ormai. Una breve interruzione potrebbe aiutarmi a riprendere il filo di questo mio scritto. Ho bisogno di un volto amico, dopo aver radunato qui le mie memorie. Un volto familiare. Bussa alla porta, un solo colpo. Forse ha qualch"*il resto della pagina è illeggibile e imbrattato di sangue rappreso*


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