NOTA DELL'AUTORE
Osborn Thorngage è un personaggio giocante attivo sullo shard di D&D 3.5e di Planescape "Sigil Online", pertanto è possibile interagire direttamente con il personaggio iscrivendosi al sito e creando un proprio personaggio. Le informazioni riportate quì di seguito sono liberamente utilizzabili, ma è gradita una richiesta personale all'utente "Thorngage" di Wikidot.
Vi ringrazio. Buona lettura!
Scheda: Osborn Thorngage
- Epiteti: Il Rosso
- Specie: Halfling (planare)
- Archetipo: no
- Genere: Maschile
- Età: 47 anni
- Classe: Barbaro / Combattente Elementale / Campione di Gwynharwyf
- Divinità o entità venerata: Un dio della natura, forse Obad-Hai
- Allineamento: Caotico Buono
- Fazione o Setta e grado: Lega Libera
- Luogo d'origine: Semipiano del Terrore, dominio di Hazlan
- Linguaggi: no
- Alleati: no
- Nemici: no
- Segni particolari: Il suo corpo è coperto da innumerevoli cicatrici — alcune molto vistose — mentre, in altre aree, la pelle risulta stranamente alterata da significativi innesti di carne elementale. Il peculiare legame instaurato da Osborn con il Piano dell'Aria gli consente, inoltre, di volare permanentemente.
Descrizione
Il volto
"Il Rosso" è uno hin1 molto alto, per la sua razza, raggiungendo il metro d'altezza. La prima cosa che salta all'occhio è il suo volto: sarebbe anche di aspetto piacevole e ben proporzionato se non fosse attraversato da decine e decine di piccole cicatrici che lo deturpano. Quasi ogni segno di battaglia sul suo volto è percepibile al tatto, scavando un sottile solco sulla sua cute; i due sfregi più grandi sono un segno che viaggia in diagonale dall'occhio sinistro, attraversando il naso, ed un ampio sgarro curvo sulla sua fronte.
I suoi occhi sono di un saturo verde smeraldino e la sua pelle è olivastra; guardandolo con maggiore attenzione, inoltre, si riesce a notare una strana macchia, o qualcosa di simile, nel punto in cui il collo si infila nei vestiti o sotto l'armatura: in quell'area, è come se la pelle fosse più azzurra. Sebbene questa alterazione sia quasi impercettibile, sotto la macchia sembra che qualcosa si muova: è come se la pelle fosse vagamente traslucida e sotto di essa un qualche fluido vorticasse sul posto, molto lentamente.
Il viso — segnato dall'esperienza di molti scontri — è ben curato ma incorniciato da una enorme quantità di disordinate treccine nere. Come molti altri mezzuomini, Osborn ha un cuoio capelluto estremamente denso, con capelli fittissimi e spessi. Il barbaro, inoltre, tiene i capelli molto lunghi con le trecce più lunghe che giungono quasi alla vita. In fondo a queste e incastrati nel mezzo si trova una gran quantità di pendagli decorativi: perline in argento, foglie scolpite in rame, castoni con piccoli quarzi, anellini di peltro, piccole monete; pertanto, quando Osborn muove il capo velocemente, si può sentire ogni tanto un dolce e fievole tintinnio metallico.
Una strana pietra magica di un color rosa spento orbita costantemente intorno al corpo dello hin, occasionalmente rimossa quando il decoro o la praticità lo richiedono.
In tenuta
Durante i suoi viaggi, Osborn indossa quasi sempre un equipaggiamento scarlatto che gli è valso l'epiteto di "il Rosso".
L'armatura

L'armatura rossa è realizzata in un misto di legnoscuro e fogliascura elfica (rigorosamente dipinta) ed è squisitamente incisa su tutte le superfici rigide con motivi astratti appartenenti alla tradizione elfica. Gli spallacci sono segmentati in due punti, alzandosi vicino al collo, e sono assicurati alla piastra pettorale e allo schienale tramite delle cinghie di cuoio decorate ,anch'esse rosse: si tratta di un sistema di aggancio piuttosto inusuale. Le giunture sono coperte dalle fogliescure trattate alchemicamente, mentre l'imbottitura al di sotto delle piastre è in una splendida seta argentea.
La pettorina (la piastra più grande) è rigida, realizzata interamente in legnoscuro, è però coperta dalla stessa seta luminosa, goffrata a rombi, reminiscente delle scaglie di un drago. Il lavoro sartoriale per questa decorazione è di enorme maestria, intaccato solo da qualche piccolo segno di battaglia, anche se lo hin lo fa realizzare ex-novo ogni volta che diventa troppo rovinato.
Sotto la pettorina, le piastre segmentate e incise in legnoscuro coprono l'addome, sovrapponendosi e flettendosi magicamente per lasciare assoluta libertà di movimento. Alla corazza sono appese due piccole piastre femorali, mentre gran parte della protezione delle gambe è affidata a delle pieghe di tessuto spesso, agganciato all'interno delle piastre più basse. Parte anteriore e posteriore sono unite da normali fibbie ottonate e non lasciano spazi scoperti.
Lo scudo
In volo, a seguirlo come un fedele compagno, c'è un grosso scudo di legno rosso, bordato di metallo. Lo scudo ha una forma asimmetrica e presenta delle venature a rilievo che lo fanno assomigliare ad una grossa foglia. Quando il piccoletto cammina tra la folla, l'arma difensiva vola sempre alle sue spalle, quasi attaccata alla sua schiena, ma durante uno scontro viene comandata mentalmente dal guerriero scarlatto per difenderlo in ogni direzione necessaria. All'interno, nella parte superiore, si legge un’incisione: Sien Oosan, che in lingua hin vuol dire "Foglia di Quercia".
Altro equipaggiamento Indossato
Osborn Thorngage pronto alla battaglia - Autore Michele Allori, con contributo da IA
Sigil Online (2024) © Thorngage
Una cintura imponente e decora i fianchi dello hin irradiando autorità, chiusa da una grande fibbia romboidale incisa; da sotto l'armatura e da sopra il farsetto d'armi in seta, fa capolino la coda di uno scapolare nero e rosso, decorato con motivi simmetrici.
A seconda del clima, indossa sulle gambe degli spessi pantaloni di panno nero oppure delle leggere braghe di lino marrone, mentre ai piedi indossa sempre degli stivali di cuoio scuro, decorati con fili di rame.
A volte sopra, altre volte sotto gli spallacci, è assicurato un mantello blu oltremare di splendida fattura con un ampio cappuccio, da cui Osborn non sembra separarsi nemmeno quando rimuove il resto della sua tenuta da combattimento. In alcune occasioni indossa un elmo di mithral dipinto di rosso decorato con dei rilievi argentei a saette. Dei robusti guanti (ovviamente dipinti) coprono sempre le sue mani, con delle piastre in cuoio bollito sul dorso ed una pelle morbida e sottile su palmi e dita.
Alla grossa cintura decorata che si appoggia ai fianchi non si vedono armi, solo una faretra elfica apparentemente vuota ed una corda di seta sul fianco opposto, con un rampino agganciato: lo hin non sembra trasportare con sé alcun arco. Porta sempre con sé un grosso borsone nero in pelle: grazie a delle sistemazioni con delle normali fibbie metalliche, il combattente rosso può trasportarlo a tracolla o come un pratico zaino, a seconda delle necessità.
Assurdamente, questa sacca appare sempre semi vuota, anche quando il piccoletto affronta lunghi viaggi.2
L'arma
Attaccata ad una cinghia interna allo scudo c'è una strana accozzaglia di metallo e legno rossi: gli apparenti rimasugli si una qualche arma, forse un'ascia, perfettamente spezzata e ripiegata su sé stessa. Chi ha visto Osborn combattere sa che, in realtà, si tratta di Tempesta, la temibile ascia dell'indipendente, che è in grado di afferrarla e ricostituirla magicamente in meno di un secondo, grazie ad una parola apposita.
Tempesta è un'ascia da battaglia inastata a doppia scure. Da terra raggiunge più o meno l'ascella del barbaro, ed il manico in legno è dipinto dello stesso colore del metallo. Il ferro della fiamma di cui è composta è infatti naturalmente scarlatto, fino a che non viene lucidato e graffiato: prende infatti un colore argenteo presso il filo, dove le molte operazioni di affilatura hanno rimosso l'ossido vitreo dal colore vermiglio-purpureo. Le lame della scure sono ampie, ma molto sottili, indicando un’arma dedicata al combattimento piuttosto che uno strumento atto allo spaccar legna. Due punti del manico sono avvolti in cuoio scuro per offrire una migliore presa sul fondo e vicino alla testa dell'ascia.
Non in tenuta
Le vesti
Quando non indossa la sua armatura o i suoi abiti da viaggio Osborn si copre con uno squisito camicione corto di lino verde, che si interrompe prima di metà coscia. La camicia ha dei bellissimi fili di mithral intrecciati. Vicino all'apertura ed i bottoni d'osso, i fili di mithral si intrecciano in motivi fluidi celtici, mentre sul resto della superficie si alternano caoticamente alla trama del lino, in una foresta di liane argentee e luminose. La camicia è a maniche corte, per cui non è raro, nei climi più freddi, vederlo indossare una sotto tunica a tutte maniche, lunga fino al ginocchio, azzurra, bianca o color avorio, a seconda delle occasioni.
Tende ad indossare una varietà di pantaloni o braghe, ma mantiene i suoi stivali decorati di rame, anche se ben puliti in occasioni più formali.
Il corpo
Nelle rare occasioni in cui Osborn si mostra privo di vesti, attira fugaci sguardi, non per una particolare bellezza o per atletismo del proprio corpo, ma per gli innumerevoli segni che lo deturpano e quella strana pelle a chiazze, che proseguono in vari punti oltre il collo.
La cicatrice che più attira lo sguardo è una linea — apparentemente chirurgica, dati alcuni segni di sutura nella lunghezza — che dal centro dello sterno si muove fino alle basse costole a destra. Un’ampia area sulla spalla sinistra sembra la cicatrice di un'ustione, o di una bruciatura da acido: piegandosi dietro la schiena, la rovina per metà della sua estensione. Un complesso tribale che copre il pettorale e l’omero sinistro è orribilmente rovinato da questo segno, chiaramente avvenuto dopo il tatuaggio. Un'altra cicatrice chirurgica sale dalla coscia e sparisce sotto le braghe di tessuto. Oltre a questi segni ed altre cicatrici più piccole qua e là (probabilmente anche queste chirurgiche), vi è un grosso segno verticale che da sotto il pettorale destro segue l’intero ventre. Una ferita brutta e frastagliata, molto, molto vecchia.
Sebbene possieda una muscolatura invidiabile da ogni membro della sua razza, quasi nessuno è in grado di apprezzarla ignorando lo stato orribile in cui versa il suo corpo. Le macchie di cute "vorticante" prendono il sopravvento sulle gambe, che ne sembrano interamente coperte, vagamente azzurrine e forse leggermente troppo lunghe.
Le tattiche di Osborn
Lo hin si è sempre gettato a testa bassa al centro del combattimento, ogni qualvolta lo ha reputato necessario; complice la sua fortuna — o forse la sua determinazione — è sopravvissuto abbastanza a lungo da accumulare esperienze di cui ha fatto tesoro. Sicuramente il barbaro è avventato e ignorante, ma non è mai stato stupido: nel corso degli anni ha accumulato un buon numero di oggetti magici, pagato alcuni sparamagie per migliorare le sue capacità ed elaborato una serie di tattiche che gli ha permesso di abbattere nemici possenti. Chi ha visto Osborn riversare la sua furia in combattimento, ha avuto modo di osservare alcune sue peculiarità, esposte di seguito.
Capacità Speciali
Spesso si sente il Rosso pronunciare qualche parola in lingua Auran. Questa è una realizzazione particolare per chi sa che il mezzuomo viene da un luogo sperduto3 poiché è molto raro che La lingua del Piano Elementale dell'Aria, venga udita al di fuori dei Piani Interni. Chi sa riconoscerla, tuttavia, dispone di una chiave con cui comprendere alcune delle peculiari abilità del combattente rosso. Altre capacità del barbato, tuttavia, non sembrano essere correlate a questa lingua e probabilmente derivano da altre tecniche e magie.
Arma elementale
Attraverso una parola Auran, Osborn è in grado di richiamare il potere del Piano Elementale dell'Aria, e convogliare il potenziale nascosto dell'aria all'interno di una qualsiasi arma da lui impugnata, che viene avvolta da fulmini. A quanto pare, questa non è una capacità proveniente dall'arma ma dal combattente stesso: una testimone dice addirittura di averlo visto richiamare il fulmine su un coltello da cucina per tagliare del pane e tostarlo al tempo stesso! Coloro che hanno visto le sue armi colpire un punto vitale di un nemico hanno anche potuto osservare un'esplosione di elettricità molto intensa propagarsi per tutto il corpo del nemico.
Venti protettivi
Molte volte, forse a causa delle tattiche spericolate usate dal piccoletto, sembra che Osborn riesca ad evocare i venti stessi per proteggerlo. Concentrandosi per breve tempo, egli può avvolgersi di un vento furioso che rende più difficile colpire la sua piccola figura e che devia lontano frecce ed altre armi a distanza. Questo, in aggiunta al suo scudo volante, permette allo hin di coprire velocemente le distanze che lo separano da eventuali assalitori. Altre volte, il vento che il barbaro evoca appare più iridescente, dotato di un velo multicolore in grado, a volte, di deviare perfino alcuni incantesimi; questa forma del potere di Osborn, tuttavia, risulta meno efficace nei confronti degli attacchi fisici.
Volo
Osborn è in grado di volare con un controllo perfetto. Ovviamente questa non è una tipica capacità halfling: di recente, però, le spalle del Rosso sono permanentemente coronate da due grandissime ali che paiono fatte di nubi temporalesche. Molti sparamagie possono riconoscerle come l'effetto dell'incantesimo chiamato ali di nuvola, in grado di aumentare la sua velocità in volo. Sebbene questa magia sia stata resa permanente sul corpo dell'halfling, essa non è la fonte della sua capacità di volo; moltissimi testimoni, infatti, hanno visto volare l'halfling ben prima che avesse quelle scure ali di nubi dietro alla schiena. Sono in pochi ad aver compreso veramente da dove giunga tale abilità, sebbene il combattente non si sia mai mostrato reticente a riguardo: egli ha sempre ammesso che chiunque può imparare a volare; è stato semplicemente necessario meditare pazientemente fino a connettere il suo spirito con il Piano dell'Aria. Dopo aver speso molto tempo in tale pratica, Osborn si è finalmente ritrovato ad essere in grado di muoversi nell'aria.
Nube Occultante
Grazie ai suoi sensi potenziati magicamente, lo hin ha potuto richiedere al dabus Fell l'incisione sulla sua pelle di un tatuaggio magico che lo rende in grado di evocare una nube temporalesca tutto intorno a sé, rendendolo invisibile ai più; i sensi dell'halfling, d'altra parte, sono stati potenziati, così che la nube non gli impedisca di percepire i suoi nemici.
Sensi potenziati
Le ali di nuvola non sono l'unico incantesimo permanente che il combattente si è fatto lanciare. Molti lo hanno osservato annusare l'aria, riconoscendo odori al pari di un segugio addestrato. Inoltre, a differenza degli altri membri della sua razza, sembra vedere con molta più precisione e più lontano in zone d'ombra. Oltre a questa visione crepuscolare e all'olfatto acuto, lo hin pare sempre perfettamente conscio di ogni cosa che si trovi intorno a lui: può percepire ogni creatura, insetto o persona, pur senza voltarsi a guardarla; è perfino in grado di sentire la presenza e la forma di creature invisibili. Questa eccezionale capacità percettiva è dovuta all'ultimo incanto permanentemente attivo su di lui: vista cieca. In tal modo, anche con la sua nube occultante attiva, il mezzuomo può rimanere cosciente di dove si trovino i suoi nemici in ogni momento.
La furia del Rosso
Osborn in Carica - Autore Mauro Alocci, con aggiunte minori di Michele Allori e IA
Sigil Online (2024) © Thorngage
Come molti altri esseri del multiverso — i cosiddetti "barbari" — il Rosso è in grado di lasciarsi andare ad una furia combattiva estrema, in cui sembra canalizzare l'energia delle sue emozioni nei suoi muscoli più di quanto siano in grado di fare le persone comuni. Questa furia è descritta con vari nomi a seconda delle diverse culture, ma lo hin l'ha sempre chiamata "il fuoco bianco". Sebbene fosse sempre stato in grado di distinguere i suoi nemici dai propri alleati quando in preda agli effetti del "fuoco bianco", questo stadio di furia combattiva ha sempre avvolto la sua mente, impedendogli di formare tattiche complesse, sfruttare le sue capacità legate al Piano dell'Aria o usare oggetti magici. Questo ha fatto si che, nel corso degli ultimi anni, il piccoletto si sia lasciato andare solo in rare occasioni, preferendo essere un valido aiuto tattico per i suoi alleati. Di recente, tuttavia, dopo essere tornato dal suo "pensionamento" nei Campi Verdi, egli ha riconsiderato la propria posizione a riguardo: nel corso di una missione nelle Terre Esterne, infatti, la sua esitazione a sfruttare la sua furia è quasi costata la vita ad alcuni suoi compagni. Dopo questa esperienza, lo hin ha comprato un collare di bronzo infuso di una magia che gli permette di mantenere pieno controllo di sé, permettendogli di richiamare i suoi poteri e quelli dei suoi oggetti magici senza rinunciare a quella furia emotiva che lo rende più forte.
Il campione di Gwynharwyf
Osborn è sempre stato in conflitto con sé stesso per le sensazioni provate in combattimento, specialmente durante il "fuoco bianco". Pur cercando di muovere la sua arma verso chi era meritevole di morte e in difesa degli oppressi del multiverso, il fatto di provare gioia nel sangue e nella violenza lo ha sempre crucciato: come può definirsi una brava persona quando uccidere lo diverte così tanto? Ha posto questi ed altri quesiti morali al sant'uomo Ya’akov Hozai quando era in visita a Sigil, scoprendo che non potrà mai avere la certezza della bontà delle sue azioni violente e gioiose come può invece un eladrin; tuttavia, fino a che questo dubbio lo attanaglierà, camminerà nella giusta direzione. Per un assurda coincidenza, è stato poco dopo questo incontro che, mentre si trovava nel cantiere di Daliss — un villaggio che ha commissionato ad Arborea per dare rifugio ad ex schiavi liberati — è stato approcciato da un bralani di nome Scirocco; quest'ultimo, lo ha invitato a prendere parte ad una spedizione punitiva a Jotunheim per debellare un piccolo gruppo di giganti del gelo fedeli a Kostchtchie4. Il combattimento è stato molto duro ed è quasi costato la vita al piccoletto quando, dalle budella del sacerdote del signore demoniaco, è emerso un aspetto di Kostchtchie in persona! È stato allora che Gwynharwyf stessa, nel vedere il suo coraggio nell'affrontare il nemico, lo ha scelto come suo campione. Da quel momento, Osborn sembra avere ancora più controllo sulla sua furia e pare perfino essere in grado di lanciare lui stesso degli incantesimi, sebbene resti in preda alla furia del fuoco bianco.
A Testa bassa, tra le nubi
Questa è una tattica comunemente usata dal Rosso, in quanto egli preferisce caricare i suoi avversari con un prevedibile ma devastante attacco in salto. Osborn è in grado di sfruttare la sua caduta per donare ai colpi della sua ascia una potenza incredibile. Solitamente preferisce usare questa tattica per iniziare il combattimento quando non può ottenere un vantaggio tattico volando; poi, continua il combattimento ai piedi dei suoi avversari (solitamente più grandi di lui) cercando di attirare la loro attenzione su di sé per risparmiare i suoi alleati. Osborn preferisce subire ingenti danni per infliggerne di maggiori, piuttosto che un combattimento cauto ma, se ha l'occasione di prepararsi, non disdegna le imboscate: sfruttando un magico anello, aumenta la sua forza contro i malvagi e sostituisce la sua "Tempesta" con "Fulmine", un Duom5 composto di ossidiana rossa; a questo punto, procede a bere una pozione di invisibilità, per porsi sopra il nemico e calare con una picchiata devastante. Dopo aver colto il suo avversario di sorpresa con un attacco micidiale dall'alto, a seconda della situazione lo hin può scegliere di rimanere in volo e avvolgersi della sua nube occultante, potendo così colpire il nemico in tranquillità senza mai essere visto; in alternativa, il barbaro può lasciarsi cadere a terra, abbandonare il Duom e sfoderare l'ascia, in grado di infliggere ferite ben più letali.
Storia
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Estratto da un'esperienza diretta di Osborn, in viaggio tra Celestia e Mercantilia
«Ne sei sicuro? Forse posso trovare qualche sparamagie qui intorno, non devi arrenderti così! »
Nemmeno Osborn credeva alle sue stesse parole, l’uomo era la prima persona che incontrava in giorni di cammino in quella foresta, non avrebbe potuto trovare nessuno. La voce fioca e debole del genasi lo raggiunse: gli rimaneva forse qualche ora di vita. La luce filtrava tra le rosse foglie degli aceri e le verdi fronde delle querce, per danzare sulle cicatrici dello hin, mentre osservava il cielo, sperando nella discesa di un guaritore miracoloso.
«Non capisco quale sia l’incanto che ti sta distruggendo, né perché le pozioni o la magia della mia cintura non riescano a guarirti, o perché tu non voglia dirmi di più sul tuo conto: potrebbe servire ad aiutarti!»
Arreso all’evidenza che nessuno sarebbe arrivato, il Rosso si sedette a fianco all’uomo, anche lui poggiando la schiena sul tronco di quell’acero così pacifico. Il sussurro del vento avrebbe accompagnato gli ultimi momenti del genasi. Entrambi emisero un lungo sospiro, godendo della brezza, a loro così cara, ma solo Osborn aveva gli occhi lucidi.
«Vorrei poter fare qualcosa di più, ma lo accetto. Non capirò mai voi Sensisti, ma almeno sei fortunato perché, se vuoi sentire la storia della mia vita, sappi che ne ho avute ben sei! Ti conviene resistere a lungo, dunque, perché staremo qui per un bel po’».
Il Rosso provò a lasciar uscire un’amara risata, con scarso successo, ma l’uomo adagiato al suo fianco sussurrò una risata debole, culminando in un attacco di tosse. La tunica azzurra, con il simbolo della Società del Sensismo era macchiata del suo sangue; ma quando i colpi di tosse finirono, sul suo volto un ampio sorriso, sereno, di quelli che raramente si vedono, di quelli che accettano la morte.
«…Grazie…» Quello dell'uomo era poco più di un rantolo, ma fu abbastanza per acquietare l’animo di Osborn. Si mise più comodo, la sua spalla appena poggiata sul braccio del morente. Con un lungo sospiro, iniziò a raccontare.
La "prima vita"
«Be', suppongo abbia senso iniziare dalla prima vita, no? Sono nato in un luogo bellissimo in un mondo orribile: ho scoperto che quel mondo — o meglio, quel semipiano — viene chiamato "la Terra delle Nebbie", ma è una cosa che scoprii solo molti anni dopo la mia nascita.
«Mio padre Erran e mia madre Reina fecero di tutto per tenere me ed i miei fratelli al riparo da quel luogo così crudele. Crescemmo in una fattoria poco fuori dal paese di pietra chiamato Ramulai, in un dominio chiamato Hazlan, nel modo più spensierato che fosse possibile in un reame come quello. Ero il secondo di tre figli: quattro anni prima di me venne Lidda e, poco dopo di me, Eldon; tre pesti, come è normale aspettarsi da degli hin. Il nostro animale preferito era Alfen, un mulo testardo ma dolce che si lasciava cavalcare da questi tre scalmanati. Sul terreno avevamo una grande quercia, “la grande fogliona” la chiamavamo, ed era il nostro luogo preferito: ore passate all’ombra delle sue foglie, o a cercare di scalare il suo tronco! Lidda era l’unica che riuscisse a salire un po’ più di un metro. Quando avevo quasi otto anni, mio padre partì: non ero sicuro di cosa stesse cercando, allora, ma come tutte le famiglie hin, la nostra era una comunità numerosa, con zii e cugini a prendersi cura di noi; e lui spediva denaro dai suoi viaggi. Mio padre era un uomo intelligente; conosceva i domini tra le nebbie di quel mondo, e stava cercando un luogo migliore per tutti noi.
«La Terra delle Nebbie è un mondo spietato; i reami dentro le misteriose nebbie sono governati da potenti maghi o violenti guerrieri chiamati Signori Oscuri e la terra stessa ricompensa l’infamia: chi governa i reami ottiene un enorme potere e l’unico modo per strappargli quel potere è compiere ancora più infamie e ancora più efferatezze: a quel punto la terra stessa ti ricompenserebbe con la forza necessaria per uccidere il Signore Oscuro precedente. Poiché le premesse erano queste, la pace non poteva durare a lungo, nella nostra fattoria.
«Era la mia decima estate quando una banda di razziatori e schiavisti colpì le campagne fuori da Ramulai. Diedero fuoco a tutto: la fattoria, la grande fogliona, gli animali… la mia infanzia. L’immagine delle fiamme intorno alle fronde della quercia si impresse talmente a fondo nella mente del bambino che ero, che per intere vite successive delle fiamme bianche mi sono apparse nei momenti di furia. Vidi mia madre per l’ultima volta in catene ed in ginocchio davanti al “signore della guerra”, con le vesti lacerate e la dignità strappata di dosso. Non so se Lidda ebbe la premura di coprirmi gli occhi o se il bambino abbia semplicemente deciso di dimenticare, ma non so cosa le successe.
«Io, Eldon e Lidda riuscimmo a correre dentro le mura di Ramulai. Il signore oscuro di Hazlan aveva una qualche strana scuola magica: l’Accademia Rossa. I suoi migliori studenti abitavano il villaggio e nessuna banda di selvaggi o schiavisti si sarebbe mai sognata di attaccare direttamente. Ovviamente, però, i maghi dell’accademia non avevano alcun interesse a salvare la povera gente che bruciava fuori dalle mura. Quel giorno era terminata la mia prima vita.»
Osborn si alzò: non aveva mai raccontato questo a nessuno, era la prima volta che questa sua vita veniva raccontata ad alta voce, trentasette anni dopo, vivida come se fosse passato solo qualche giorno. Si allontanò di qualche passo, respirando profondamente. Un rantolo di sofferenza salì dal genasi: «ac-qua», chiese debolmente.
«Oh! Certo, ecco» Scosso dai suoi pensieri il Rosso si riavvicinò, e preso l’otre dalla borsa lo inclinò delicatamente sulla bocca dell’altro. Le labbra erano spaccate ed essiccate dallo strano incanto o maledizione che stava uccidendo quell’uomo.
«Grazie… raccontami della tua seconda vita»
La "seconda vita"
«Va bene, questa fu la mia vita da artigiano: vedi, non tutti sono orribili nel dominio di Hazlan, c’è chi sceglieva di fare la cosa giusta, anche se non avrebbe mai ottenuto le ricompense della terra stessa. Un uomo di nome Fenar, un falegname, ebbe pietà di noi» sorrise un poco nel ricordarlo, «ci accolse subito, viveva da solo, credo che un po’ volesse la compagnia… Mi ha insegnato molto e gliene sono grato. Ci ha dato un tetto sopra la testa, un caminetto davanti al quale riscaldarci e un letto dove dormire. Non avevamo molto denaro, ma per un po’ di tempo siamo stati felici, in pace». Di nuovo si incupì, «Tre anni dopo, Lidda si ammalò: inizialmente sembrava un malessere passeggero, ma poi, qualche giorno dopo, arrivò la febbre.
«Non avevamo il denaro per farci aiutare dai chierici e, come avrai intuito, non era un reame in cui si potesse fare affidamento alla carità degli altri. Ha sofferto per una settimana prima di lasciarci. Non so quale fosse la malattia, forse qualcosa di sciocco e semplice, ma cadde come una maledizione terribile su di me ed Eldon.» Disse sospirando, «Lui è sempre stato più sveglio di me, e senza Lidda a trattenerlo dal fare scelte stupide, si rivolse all’Accademia Rossa di Ramulai. A nulla servirono le mie proteste o le preghiere di Fenar. Mio fratello era spinto da una qualche sete di vendetta o voglia di potere e armato da una mente acuta: i maghi del Signore Oscuro non hanno esitato ad accoglierlo, non appena hanno fiutato un minimo di talento». Osborn scosse la testa, risiedendosi a terra «Eldon cambiò molto, in quegli anni: le sue visite, già scarse per via degli studi, si fecero sempre più rare; divenne arrogante e presuntuoso, come uno può immaginarsi, circondato da maghi del genere. Poco dopo, fu mandato in viaggio insieme ad altri apprendisti e non passò nemmeno a salutarci: lo vidi per caso, alle porte del villaggio, pronto a partire, per non rivederlo mai più.
«La sete di potere spinge chiunque a fare le scelte più assurde: sei anni dopo la morte di Lidda, l’autoproclamato signore della guerra che aveva attaccato i campi fuori da Ramulai fu abbastanza pazzo da attaccare il paese, questa volta. Le loro forze dovettero affrontare la furia arcana dei prediletti del Signore Oscuro, ma non fu uno scontro a senso unico.
«Attraversarono le mura ed invasero le strade. Ero un ragazzino di diciannove anni, con solo rabbia nel corpo: afferrai il primo oggetto affilato e mi buttai nella mischia. Credo sia stata la prima volta che vidi il fuoco bianco. Gli orrori di quando era bruciata la mia infanzia si erano marchiati nella mia mente e, quando mi lasciai andare alla furia, potei vedere le fiamme di quel giorno, candide e bollenti, avvolgere tutto: gli schiavisti, le case, i corpi di chi uccidevo… Non nego che lo trovai eccitante.
«Ovviamente, non andai molto avanti prima di essere catturato, incatenato e trasportato via insieme ai briganti, che avevano saggiamente scelto la ritirata dopo le ingenti perdite inferte dagli sparamagie. Nei giorni successivi fui preso a calci, usato come bersaglio per le freccette dei briganti e malnutrito. Non credo fosse passato molto tempo quando fui venduto: ero uno dei prigionieri più rumorosi e difficili, probabilmente non mi volevano tenere molto di più. Il mio nuovo padrone si chiamava Essir, un uomo elegante con la passione per… donne di piccola taglia. Ammise che voleva usarmi per attirare altre hin e poi ottenere quello che voleva, con denaro o minacce. Al primo pasto, usai il suo coltello del burro per pugnalarlo all’inguine; fu difficile: non era affilato.
«Mentre lui moriva dissanguato, io corsi via dalle tende, scappai nei boschi. Non sapevo dove fossi, forse nemmeno più nel reame di Hazlan, ma ero inesperto, svestito e malnutrito: nemmeno due giorni dopo fui raggiunto da uno degli scagnozzi di Essir, probabilmente pagato da un familiare. Il fuoco bianco mi fece visita di nuovo: non ricordo molto dello scontro, solo il fuoco che ardeva tutto; mi accorsi della mia ferita all’addome e dell’ascia dell’uomo piantata nel suo stesso petto, poi svenni» Osborn smise di parlare per un attimo, «Qui finì la mia seconda vita».
«Capisco perché le chiami “vite”» disse l’uomo sussurrando, «Tutto questo è più di quanto una persona comune conosca, eppure vivevi da così poco»
«Esatto», rispose Osborn «a volte mi rimetto a contare gli anni, giusto per essere sicuro, ma ogni volta il risultato è lo stesso, avevo diciannove anni ma se mi guardassi indietro senza pensarci giurerei che ne avessi sessanta…»
La "terza vita"
«Anche la tua terza vita fu piena di tragedie?» l’uomo riuscì a malapena a finire la frase prima di cedere ad un altro violento attacco di tosse. Osborn rimase in silenzio per quasi un minuto in attesa che quello si riprendesse, stringendogli la mano.
«No, fu stranamente la più quieta», spiegò il Rosso. «Mi risvegliai fasciato e con un pugnale al fianco; il corpo del sicario non c’era più, ma c’era il suo sangue. Non capii mai chi si prese cura di me, ma all’epoca ero abbastanza cinico da fregarmene. Ora un po’ mi dispiace, mi piacerebbe ringraziare chiunque fosse di persona.
«Passai sei inverni nelle terre selvagge di quei luoghi: scoprii presto che mi trovavo in una foresta a sud di una città chiamata Toyalis. Un villaggio in confronto alle metropoli planari che conobbi anni dopo, ma all’epoca era la cosa più grande che avessi mai visto». Si lasciò andare ad una piccola risata: «non riuscivo a fidarmi, da piccolo hin qual ero, di una città così grande, quindi mi mantenni all’esterno. Vivevo nella foresta come un eremita, scambiando occasionalmente carni e pelli di animali, o piccoli ninnoli di legno, con gli abitanti che a volte venivano a cercarmi nel bosco. Iniziai, in quegli anni, a venerare un potere della natura di cui mi parlò una donna. Anni dopo, quando lo descrissi, mi dissero che si chiamava Obad-Hai, ma probabilmente era un altro ed io non lo sapevo.
«A mano a mano che gli anni passavano, riuscii ad avvicinarmi sempre di più alla città, fino addirittura a diventare assistente in una falegnameria. Dopo tre anni a Toyalis, avevo messo abbastanza denaro da parte per affrontare un viaggio: tornai a Ramulai. L’unica autorità in un posto come Hazlan è sottoposta direttamente al Signore Oscuro Hazlik; quindi, puoi immaginare quale risposta ricevetti quando provai a reclamare il terreno della fattoria. Sconfitto, andai a trovare il contadino mezz’elfo che aveva acquistato il terreno. Aveva conservato alcune lettere di mio padre, almeno credevo, ed altre cianfrusaglie in un vecchio baule. Ovviamente, si era tenuto le monete che erano state trovate nella proprietà, ma mi concesse di avere il resto.
Non aveva mai smesso di scrivere, almeno fino a che mia madre era viva: in ogni lettera rimarcava come fosse dispiaciuto di non poter sempre ricevere una risposta, e che stava cercando il luogo adatto alla nostra famiglia. Nella sua ultima corrispondenza diceva che stava racimolando denaro per portarci tutti nella “città più folle che potessi immaginare”; un posto chiamato Sigil da dove, a sua detta, si poteva raggiungere ogni luogo immaginabile e più. Non c’era una data, ma la carta sembrava molto vecchia, impossibile dire quanto.
«Inutile dire che le mie ricerche su Sigil, in un luogo dimenticato dal multiverso come la Terra delle Nebbie, non portarono alcun frutto. Allontanandomi da Ramulai fui raggiunto da un mago dell’accademia: un elfo di nome Trael. Forse avrei dovuto capire che si trattava di uno che stava fuggendo: non so se fosse un traditore, uno che voleva fuggire dall’accademia o se magari avesse scoperto qualcosa che non doveva, ma, col senno di poi, mi fu chiaro che quello mi stava prendendo in giro e stava solo cercando di allontanarsi il più possibile. Sta di fatto che non me ne accorsi all’epoca; Trael giurò di potermi portare a Sigil in cambio di denaro e protezione durante il viaggio. Pagai tutto ciò che avevo per accompagnarlo verso sud, senza rendermi conto della sua paranoia o della sua fretta. Giungemmo così al confine delle nebbie.
«Nessuno sa cosa siano realmente le nebbie di quel semipiano, ma tutti sanno una cosa: non attraversi mai le nebbie di tua spontanea volontà. Eccettuate alcune delle “vie” conosciute, e comunque mai completamente affidabili, nessuno è mai uscito dopo essere entrato nelle nebbie. Quindi puoi immaginare il mio stupore quando Trael mi disse che dovevamo attraversare le nebbie al confine di Hazlan. Quell’elfo doveva essere davvero disperato, a pensarci oggi… Mi promise che aveva un incantesimo in grado di proteggerci, e che avremmo raggiunto “Sigil”. Ero talmente ingenuo da fidarmi; quello fu l’ultimo giorno della mia terza vita: stava per iniziare la mia vita da avventuriero, la quarta»
La "quarta vita"
«Ma allora», intervenne il genasi, prima di dare due colpi di tosse, «allora aveva davvero modo di proteggervi dalle nebbie, siete sopravvissuti». La voce dell’uomo sembrava essersi ripresa un po’, forse per la curiosità, o forse era solo un caso. Osborn si alzò, per andarsi a risedere direttamente davanti alle gambe del Sensista morente.
«Non so se il suo incantesimo avesse funzionato: sì, siamo sopravvissuti, ma di sicuro non mi aveva portato nella Gabbia! Dopo qualche minuto di cammino, il terreno cedette sotto i nostri piedi e ci trovammo in acqua salata, in un mare agitato! Io e il mago fummo subito separati e lo persi di vista. Le nebbie si diradarono e notai un’isola rocciosa in lontananza.
«Nuotai con tutte le mie forze, probabilmente per qualche ora; poi, giunto sugli scogli affilati, persi conoscenza quasi immediatamente. Quando mi risvegliai, scoprii che l’isola era abitata da una piccolissima comunità; lontano si vedeva un’altra isola, ben più grande, le luci di una città sulla costa. Dall’altro lato, le nebbie coprivano l’orizzonte. Eravamo in un altro dominio, ma restavamo nella Terra delle Nebbie.
«Il dominio e l’isola si chiamavano Arshmork, e quella sorta di scoglio abitato dove ero finito era l’isolotto di Morkstone. Arshmork era un luogo forse peggiore del precedente: l’insediamento più grande era una lugubre cittadina cinta da nere mura, chiamata Morken, fuori da essa poco più che qualche villaggio sparso in una terra dove ogni cosa vuole ucciderti… Non che fosse troppo diverso nella città.
«Hazlan non è un luogo ospitale per nessuno, ma Arshmork ha una peculiarità tutta sua: il razzismo! A quanto pare, se non sei un umano a Morken sei considerato meno di un ratto di fogna: insulti e sputi erano la mia nuova norma e qualcuno come te sarebbe stato ucciso subito, probabilmente per cercare di usare i tuoi organi in qualche modo assurdo».
Il Rosso appoggiò la mano destra sulla coscia del genasi, gli sembrava fosse più freddo. Si perse un attimo nei vortici sotto la pelle di quell’uomo, così simili a quelli presenti anche sul suo corpo. Scuotendosi, si tolse il mantello per posarlo sul moribondo, nella speranza di riscaldarlo un po’. Poco importava se il mantello si sarebbe sporcato di sangue. «Vuoi che mi fermi? Vuoi riposare?»
«N-no…» rantolò appena il genasi «voglio s-sapere…» La voce era tornata flebile e sussurrante, ogni respiro portava con sé un rantolo acuto appena percettibile.
«D’accordo», rispose Osborn, «provai a farmi un nome, per guadagnare rispetto, sai… e tutto sommato non mi andò troppo male. Cacciai qualche morto ambulante dal sentiero verso nord, conobbi le poche persone che non erano orribili, partecipai ad un torneo organizzato da un bardo pazzo ma gentile, il quale puntò su di me e utilizzò ogni trucco magico a sua disposizione per farmi vincere». Si fermò un attimo per una risata: «Ripresi persino a fare l’apprendista in una falegnameria, dopo che un po’ di gente in città cominciò a vedermi come un “ratto” un poco più utile. Cinque inverni passai su quell’isola schifosa, prima di imbattermi nuovamente in Trael.»
Ad Osborn parve per un attimo che il genasi tentasse una risata; sul volto dell'halfling affiorò un sorriso amaro sul suo volto nel vedere che almeno la sua storia stava dando qualcosa, al Sensista.
«Trael nascondeva le sue orecchie appuntite e non indossava le vesti rosse ma lo riconobbi subito in mezzo alla folla. Una volta che l'ebbi raggiunto, lo buttai a terra e lo minacciai con la mia ascia: il patetico bastardo mi aveva mentito, trasportato in un’isola schifosa e fatto quasi affogare: avrebbe dovuto essere molto convincente per cavarsi dai guai…
«Ma, a quanto pare, lo fu! Non ricordo esattamente cosa disse per evitare che lo picchiassi, ma il succo del discorso era che, in qualche modo, Trael era riuscito a convincere un nobile locale — non ho capito se un qualche cugino del Signore Oscuro di Arshmork o se un membro della famiglia rivale — a prenderlo come cortigiano e mago di servizio: quell’elfo aveva davvero una lingua d’argento! Mi disse che il nobile aveva molto denaro, ed era lui stesso un incantatore, e di grande potenza! Mi spiegò che il posto che volevo raggiungere era in un altro mondo, e che ero un pazzo se credevo che mio padre fosse riuscito a raggiungerlo: sicuramente nelle lettere stava mentendo ed era fuggito altrove per stare lontano da noi. La minaccia di un coltello gli fece gridare che forse vi era un modo: non c’era protezione di alcun nobile dorato in quel vicolo.
«Implorando che non lo colpissi, Trael mi disse che aveva scoperto che il suo nobile stava studiando i modi in cui diverse creature erano riuscite a fuggire da Arshmork e dalla Terra delle Nebbie: a quanto pare, i rari incanti di trasporto planare creati con l'intento di sfuggire ai Domini delle Nebbie non funzionavano, per un qualche motivo: solo alcuni portali, rarissimi e spesso effimeri, si aprivano su quel semipiano. Trael disse che tra gli appunti c’era menzione di un diario che descriveva una strana creatura uscita da una finestra di una villa abbandonata a Morken; poi, qualche ora dopo, vi era rientrata pronunciando strane parole e sparendo nel nulla. Nel diario si raccontava di come dalla finestra, durante alcune notti, si sentisse un chiacchiericcio sommesso, come di una lontana folla che parlava in lingue sconosciute.
«Non capii nulla di quello che mi stava dicendo, ma l’elfo rivelò che il suo mecenate era ossessionato da questa storia, che aveva individuato quella che credeva essere la finestra e che stava ricercando da anni le possibili parole magiche per attivare il portale e scappare, senza successo. Se lo avessi risparmiato, Trael mi avrebbe mostrato la finestra che ossessionava il suo padrone e forse avrebbe pure potuto combinare qualcosa, una volta arrivato lì con me. Il bastardo ebbe la faccia tosta di chiedermi un pagamento, per questo: risposi che poteva offrire lui o pagare con il suo sangue; smise immediatamente di chiedere un compenso.
«Non gli credevo, ovviamente, ma ero curioso di vedere questa misteriosa finestra e se avesse davvero tentato qualcosa di strano con me, be', avrei avuto un’ottima scusa per fargli pentire di avermi trascinato fin lì. A forza di minacce e “gentili” intimazioni, mi portò alla villa abbandonata, una vecchia e lugubre struttura vicino al porto di Morken, fatiscente da anni. Presso il cortile interno vi era questa strana finestra dai vetri rotti; scolpito al suo apice, spiccava un urobòro attorcigliato, stranamente ben conservato. Mi arrampicai fino all’uscio e guardai all'interno dell'edificio, in un lugubre corridoio abbandonato della villa. Nessuno strano mondo o vociare di lingue impossibili. Mi girai verso il mago, pronto a fargli pagare il suo ultimo trucco, ma fui strattonato indietro, dentro la finestra, da una qualche strana forza. Battei la testa per terra su un pavimento di legno polveroso; nell'aria c'era un brusio di voci incomprensibili ed ero avvolto da una strana nebbiolina azzurra. Mi rialzai: la finestra non mostrava niente dall’altro lato, solo nero completo.
«La Taverna… del Serpente del Mondo» disse a fatica il Sensista lì vicino. Un sorriso, benché triste, si dipinse sul volto dello hin, ma rispose gentilmente, calmandosi dalle ire che il racconto gli aveva riportato «Già… ero finito nei corridoi di Mitchifer» ammise Osborn.
«E le parole magiche?» chiese l’altro.
«Non ce ne fu bisogno… Ancora non lo sapevo, all’epoca, ma sono un Dimensional, una di quelle persone che possono attraversare la maggior parte dei portali senza bisogno della chiave, o senza dover aspettare momenti specifici… Una gran fortuna, lo so» ridacchiò un poco «Se così non fosse, sarei ancora intrappolato a vivere la mia vita ad Arshmork, o forse sarei morto anni fa.» disse il Rosso.
«Con questa fortuna e la Taverna del Serpente del Mondo la mia vita da avventuriero cambiò radicalmente! Quanti mondi da esplorare, quanti pericoli, quante meraviglie! Anche solo nella sala della Taverna non credevo ai miei occhi! Raggiunsi praticamente subito la Gabbia, grazie alle informazioni di Mitchifer e tu sai bene cosa fa quella città ad uno sperduto: la follia e la meraviglia ci mettono poco a diventare abitudine e la ricerca di mio padre si arrestò rovinosamente. Trovare qualcuno in quella città è impossibile, soprattutto se non è gente nota, ma avevo avuto un assaggio del multiverso e il suo vorticare infinito mi aveva risucchiato!
«Iniziai a vivere la mia vita davvero, slegato dal mio passato, e quante cose ho fatto! Ho scalato i giganti di casa forca a Carceri, estraendo un dente per il Collezionista; ho recuperato artefatti sacri dalle grinfie di elfi oscuri malevoli a Svartalfheim; ritrovato antichi strumenti musicali per un nobile gigante delle tempeste nel Piano dell’Aria… Ma ho anche imparato: ho capito che nel multiverso non si doveva per forza vivere sotto il giogo di qualcuno, che avevo la forza per rompere le catene che mi venivano imposte e che questa forza era abbastanza per spezzare le catene di altri.
«Vedi, fino a che ero nella Terra delle Nebbie — ho scoperto che viene chiamata "Ravenloft" — vivevo per sopravvivere, per garantire a me stesso il passo successivo, il tetto sopra la testa, il cibo nel mio stomaco, come fa chiunque altro in quei luoghi, se non vuole uccidere o prevaricare. Ma se le mie avventure mi hanno mostrato le crudeltà del multiverso, quelle non mi erano nuove, nulla che non avessi visto o sentito ad Hazlan o Arshmork; mi mostrarono, però, anche l’altra faccia della medaglia, altruismo ed empatia; che fuori dal mio mondo natìo, la gentilezza e la bontà potevano esistere con più forza, più eroismo di un falegname che si impietosisce davanti a tre bambini hin. Il multiverso mi ha cambiato per il meglio.
«Il mio passato — pregno di angherie subìte da chi mi era superiore, in balìa di un mondo che era esso stesso una trappola, dove fui fatto perfino schiavo — mi portò verso gli Indipendenti. Sì, sono decisamente tra i membri della Lega Libera più idealisti e devoti ad una particolare causa; lo so che sembra una contraddizione, ma è così: non do valore alla sola mia individualità, ma lotto affinché quelli che non riescono a riottenerla da soli possano alzarsi e riprendere in mano la loro vita! Sono tanti gli schiavi che ho liberato tra i piani, tante le vite di schiavisti che ho spezzato.
«Allo stesso modo, mi innamorai del Piano Elementale dell’Aria… abbiamo questo in comune.» disse sorridendo, prima di alzarsi e spiccare il volo, solo per guardare un po’ più in là sul sentiero, nella speranza di vedere qualcuno avvicinarsi, un guaritore miracoloso dell’ultimo momento… solo il vento tra i rami, nient'altro.
«Fui rapito dai cieli infiniti, dalla furia della tempesta, dalla violenza del fulmine che fonde i metalli… Per me l’Aria era la più vera espressione della libertà e passai tanto di quel tempo sul piano che sviluppai una connessione speciale con esso, quella che mi permette di volare, come mi hai visto fare ora. Acquistai perfino un grifone: io e quella fiera creatura solcammo quei cieli infiniti per lunghissime giornate, godendo l’uno della compagnia dell’altro».
L’uomo a terra, coperto dal suo mantello, non disse nulla, ma lo sguardo stanco e morente riuscì comunque a trasmettere comprensione e complicità al Rosso.
«Questa fu la mia quarta vita: il mio passato lo avevo abbandonato… fino a che non ho sentito parlare dell’angelo di Gu’n’ragh».
«Non ho… mai sentito di questo angelo…» rivelò il moribondo
«Non fu una voce che girò per molto, nella Gabbia» rispose Osborn «Ma giunse alle mie orecchie la storia di questo angelo che risiedeva in una fortezza al centro della grande tempesta psichica dell’Astrale, in grado di dare a chiunque lo avesse trovato le risposte a qualunque domanda sul suo passato o esaudire un desiderio antico della propria vita… Mi tornò la forza di cercare mio padre e finalmente sarei stato in grado di trovare qualcuno in grado di portarmi da lui, o mostrarmi la via!»
«Attraversare la tempesta psichica fu difficilissimo. Il tempo aveva smesso di aver senso: per un intero giorno o chissà quanti anni mi sembrò di attraversare la tempesta, ma fu come attraversare la mia stessa mente, fu surreale. Memorie e realtà si fondevano insieme, i pensieri smisero di avere senso, non so come resistetti al dolore. Una orribile bestia nativa provò a rapirmi per soggiogarmi e rendermi uno schiavo, ma il suo corpo esanime ancora fluttua spinto dai venti psichici.
«Ma…» dei violenti colpi di tosse costrinsero il genasi a fermarsi, macchiando di sangue il mantello che gli era stato adagiato addosso, per poi riprendere con calma «trovasti l’angelo, alla fine?» Osborn si sentiva così impotente nel vederlo morire lentamente, ma non sapeva cosa fare… Si accovacciò per terra, estraendo un fuoco da campo crepitante dalla sua sacca, evidentemente magico. Cominciò a sistemare un pentolino versandoci dell’acqua per farla bollire, mentre continuava a raccontare.
«Si, lo trovai. Un lugubre tempio nell’occhio della tempesta, o una fortezza, difficile dirlo. L’angelo era l’unico essere al suo interno. È assurdo: forse è stata la creatura che più ha influenzato le mie vite; eppure, non riesco a ricordare che aspetto avesse, tutto è così confuso. So solo che, poco dopo avermi incontrato, ha assunto la forma di Urogalan, il dio hin della terra e della morte. Ancora mi chiedo cosa realmente fosse, se un emissario della Morte stessa, un potere annoiato… ma non credo sarò mai in grado di capirlo. Non parlammo a lungo, ma mi disse di presentare la mia richiesta. Volevo sapere dove si trovava Erran Thorngage, dove era finito mio padre… sapere se ci avesse davvero abbandonato, o se qualcosa lo aveva tenuto lontano da noi… anche solo sapere se fosse vivo.» Il Rosso sembrava distratto mentre estraeva dalla sua borsa un sacchetto di lino, contenente delle piccole foglie essiccate, forse thè, forse altro.
«Non sapevo cosa mi avrebbe richiesto in cambio e non potevo immaginare che mi avrebbe portato a vivere la mia quinta vita, la più importante, la migliore… Il più grande dono che avrei mai potuto chiedere» Si fermò un attimo. Nei suoi occhi un’espressione sognante e idilliaca, rapidamente spenta da ciò che stava per raccontare. «Mi disse che richiedeva un pagamento: senza neppure pensarci, afferrai la sua mano non appena la tese. Allora l'angelo distrusse il mio corpo».
Un lungo sospiro, seguito da un altrettanto lungo silenzio. Per qualche buon minuto il Rosso non parlò, così come non lo fece il povero genasi morente. Lo hin appariva pensieroso e concentrato mentre toglieva il pentolino dal fuoco, spezzettandovi dentro le foglie, che rapidamente tinsero l’acqua: la filtrò usando il sacchetto, versandola dento una tazza di coccio e portandola all’uomo: «Tieni, è un infuso di foglia di re, un erba di Celestia: aiuterà col dolore» disse all’uomo, anche se dal tono non era chiaro al dolore di chi si riferisse, poi riprese a raccontare.
«I miei organi furono strappati via o disintegrati, le ossa delle mie gambe si spezzarono in migliaia di pezzi spargendosi nei muscoli che le avvolgevano, le mie vene furono drenate del loro sangue: svenni di colpo, per lo shock.» Un lungo sospiro per ricominciare a parlare con forse meno pesantezza «Ma, allo stesso tempo, la sua strana magia fece in modo di tenermi in vita. Certo, non era un granché di vita: non ero più in grado di camminare, ridotto a vivere seduto, costretto a mangiare solo liquidi e tanto debole da essere a malapena in grado di parlare».
Si rese conto che la sua situazione non doveva essere troppo diversa da quella che stava vivendo in quel momento il genasi… Una folle teoria gli passò per la testa, mentre lo vedeva bere con difficoltà da quella tazza in terracotta; la scacciò via con la mano, prima di andare ad aiutarlo.
La "quinta vita"
«Quando riaprii gli occhi, ero in un letto semplice, in uno stato terribile. Una donna hin era di fronte a me, stupita di vedermi sveglio: mi disse che mi trovavo nella tenuta Thorngage». Si fermò un attimo per lasciare che il peso della notizia data si posasse sull’altro «Di lì a poco ebbi tutte le mie risposte, mio padre entrò nella stanza e non mi riconobbe. Nemmeno io sarei stato in grado di riconoscerlo se non fosse stato per il nome, ma non aspettai molto prima di rivelare chi fossi; fu un bene che mi trovassi in quello stato, altrimenti la mia ira nei suoi confronti non si sarebbe manifestata solo con le parole; che errore sarebbe stato!» spiegò. «Sta di fatto che ebbe la possibilità di spiegarsi, e raccontarmi la sua storia.
«Non eravamo più nell’Astrale, bensì in una fattoria di Celestia, nei campi verdi di Venya. Mio padre non aveva mai smesso di amarci e cercarci: durante il suo primo anno di viaggi si era perso tra le nebbie ai confini di Hazlan, verso l’entroterra di Ravenloft e si era ritrovato alla Cittadella di Ghiaccio e Acciaio6. Come mai le nebbie lo abbiano portato lì è completamente un mistero, ma mio padre è una persona piena di risorse e capace di adattarsi. In poco tempo, riuscì a capire qualcosa della struttura della Grande Ruota, tanto addirittura da riuscire a raggiungere la Taverna del Serpente del Mondo! Era stato un errore da parte mia non parlare mai di mio padre a Mitchifer, magari si sarebbe ricordato di lui e mi avrebbe indicato la giusta direzione, chissà.
«Insomma, nei suoi viaggi tornava spesso alla Taverna, pagando un incantatore per mandare dei messaggi. Non so come funzioni quell’incantesimo, ma l’incantatore li inviava direttamente alla mente di mia madre. La mia povera madre si affrettava a scrivere tutto quello che sentiva da quel misterioso mago che le portava notizie di suo marito. Mio padre sapeva che c’era la possibilità che i messaggi non arrivassero ma quando, appena due anni dopo la sua partenza, non ricevette più alcuna risposta, iniziò a cercare disperatamente un modo per tornare. Provò a far contattare me, Eldon, o Lidda, ma eravamo troppo cresciuti, troppo diversi perché i messaggi ci arrivassero. Non avevo motivo di credere che mentisse: i tempi coincidevano.
«Per quasi nove anni, mi disse, aveva cercato un modo per raggiungere la Terra delle Nebbie e tornare. La Taverna di Mitchifer ha dei portali che si aprono di rado sulla Terra delle Nebbie, come la finestra da cui ero entrato io, ma imparò che restavano aperti per un solo giorno; e, non sapendo dove sarebbero comparsi nei domini di Ravenloft, non poteva rischiare di finire lontano da noi, non ci avrebbe mai raggiunto per tempo. Il mio vecchio era riuscito a comprare una bussola dei portali e con quella riuscì a formulare uno stratagemma. Una volta entrato da un portale della Taverna e ritrovata la sua famiglia, sarebbe stato in grado di attendere che la bussola gli indicasse l'apertura di un varco per il semipiano di Mitchifer, in una disperata corsa per portare via la sua famiglia da quel piano orribile.
«Molto di quello che mi ha raccontato dopo è frutto dei suoi viaggi… Raggiunse di nuovo Ramulai, per scoprire quello che era successo a mamma, e a Lidda. Cercò di rintracciare me ed Eldon. Quella povera donna di mia madre doveva aver chiesto informazioni riguardo questa “voce da un altro mondo” all’Accademia Rossa. Forse è per questo che i maghi presero mio fratello con loro, nella speranza di scoprire un modo per fuggire dalla Terra delle Nebbie e conquistare altri mondi e potere per il Signore Oscuro di Hazlan. Mio padre era stato astuto e aveva detto ai maghi dell’Accademia Rossa di aver mentito, di essere scappato: la loro sete di potere li avrebbe spinti a rapirlo e torturarlo. Scoprì che, dopo la partenza, Eldon aveva perso la vita durante il viaggio; i maghi non vollero nemmeno dirgli come. Sconfitto e disperato, senza alcuna notizia di che fine avessi fatto io, aspettò di raggiungere una porta per la Taverna del Serpente del Mondo, sperando che almeno io avessi trovato la mia pace… Non poteva immaginare che io stessi iniziando la mia terza vita poco lontano. Se solo ripenso a quanto siamo stati vicini, mi vengono i brividi».
Lo hin recuperò la tazza dall’uomo, posandola con garbo a fianco di una radice «Tornato tra i piani, sconfitto dopo nove anni di disperata ricerca, si stabilì vicino al reame di Yondalla e gli altri dei degli hin» spiegò infine con un sospiro Osborn «e nel corso degli anni si ricostruì la sua vita, trovando una nuova moglie, fondando una nuova fattoria. Non poteva credere che io fossi riuscito a trovarlo, non ebbi il coraggio di dirgli cosa dovetti fare per riuscirci. Tuttavia, forse è stato un errore: vedendomi in quello stato, credo che la sua immaginazione lo abbia fatto soffrire più della verità dei fatti. È un uomo forte, mio padre: anche quando, qualche anno fa, gli rivelai che cosa avevo fatto, accettò la cosa con nobile silenzio; ma sapevo che ne era grato».
Un altro gran respiro da parte del Rosso, che si piegò a risistemare il mantello sul genasi. «Fu quando ebbe finito di raccontarmi dei suoi viaggi che fece entrare sua figlia: Lidda. Non potevo credere ai miei occhi, avevo di nuovo una sorella! Ancora non me ne ero reso conto, ma, nel momento in cui guardai in quei piccoli occhi color nocciola, avevo già abbandonato la mia vita da avventuriero: in quel momento iniziò la mia vita da contadino».
«Non so quanto ti interesserà questa vita, Sensista, perché è stata di gran lunga la più noiosa, ma è stata di certo la più felice per me. Per la prima volta da quando ero bambino, mi sono sentito normale, felice di essere una semplice persona in un luogo semplice. Ho passato qualche mese in quelle condizioni orribili, ma poi chiesi a mio padre di prendere i miei soldi e usarli per pagare un incantatore che potesse trasportarmi vicino ad un portale per Sigil. Una volta giunto nella città andai da A’kin, ne avrai sentito parlare» disse girandosi verso l’uomo, il quale ricambiò con uno sguardo di intesa, rantolando appena un commento: «La tua pelle… innesti elementali» riuscì a dire. L'halfling guardò verso il basso. «Non c’è bisogno che ti dica altro, allora. Stavo peggiorando, non credo che sarei sopravvissuto molto più a lungo in quelle condizioni» spiegò, come se volesse giustificarsi, «Ma non potevo morire, non ora che avevo una piccola sorellina! Aveva nove anni quando l’ho conosciuta… non volevo ammettere a me stesso che la mia vita da avventuriero era finita, sai? Mi sono fermato per un po’ lì alla tenuta, due inverni, per essere preciso, e la mia sorellina adorava il suo nuovo fratellone! Quante storie le raccontai, prima di andare a dormire, quanti notti passate nella tenda in mezzo al campo di cavoli, anche quando la casa era calda e lì vicino! Le piaceva passare dentro la mia armatura, messa lì a prender polvere…». Quasi senza volerlo, Osborn si portò una mano all'altezza del cuore, lì dove, nascosto alla vista, c’era quel disegno fatto da Lidda: “Così quando combatti i cattivi, ti aiuto!” aveva gridato la piccolina.
«Poi mi sono di nuovo gettato a capofitto in due avventure, stupidamente.»
«Viaggiavo ancora, anche se di meno del solito, per andare a trovare Vento, il mio grifone, alla Cittadella di Ghiaccio e Acciaio, o per visitare qualche vecchio amico qui e là. Così mi ritrovai a sentire di un gruppo di matti che voleva raggiungere il centro del labirinto del Signore dei Gufi. Settimane di viaggio ci sono volute, ma giunti al labirinto abbiamo compreso l’indovinello e raggiunto il centro! Fu molto difficile, ed uno dei nostri purtroppo non ce l’ha fatta». Un breve momento di silenzio, ricordandosi de "il Kaiser". «Ma io e l’organizzatore della spedizione ce la facemmo. Un certo Shardanaze, tuo confratello, pensa un po’…»
Nuovamente l'halfling si girò sorridendo verso il sensista, ma il suo viso si spense immediatamente: l’uomo era a malapena in grado di respirare e non rispondeva più se non con uno sguardo, che sembrava implorarlo di continuare.
«La seconda avventura era per conto della Società dei Viaggiatori dell'Etereo» spiegò, affrettandosi a sedersi di nuovo a fianco dell’uomo, tenendogli la mano stretta «Recuperare una verga magica dai cieli sconfinati… Fu una missione che ci mise a dura prova, uno dei nostri era una Testa Dura, che fuggendo dalla sua responsabilità alla prima difficoltà ha dimostrato di che pasta fosse realmente fatto». Osborn emise uno sbuffo di scherno, «ma con gli altri alla fine giungemmo al posto, dove, invece della verga, trovammo ad attenderci un elementale invisibile assetato di sangue» disse. «Uccise il mio grifone, Vento, e la nostra guida, dallo stesso nome. Riuscii ad affondare il colpo finale alla creatura ma era ormai tardi. Rinunciai alla ricompensa della Società per far resuscitare sia la guida che il mio grifone, così come la sorella della guida, morta in un'altra spedizione prima di noi…» Si fermò un attimo: «Lo farei anche per te, sai? Questa esperienza potresti farla due volte, se solo mi dicessi come ti chiami». L’uomo al suo fianco riuscì a malapena a scuotere la testa per rifiutare. Osborn non capì.
«Fu un risveglio per me… quella vita da eroe, da pazzo che si getta in mezzo al pericolo per gli altri, doveva finire. Dovevo prendermi cura di Lidda. Tornai a Venya, portai Vento con me; l’ascia, lo scudo e l’armatura rimasero in un cassetto a prendere la polvere che meritavano di prendere, ed io divenni Osborn, il contadino. Un pessimo contadino, ovvio!» e rise, nella speranza di ravvivare una luce di vita nell’altro «Mi guadagnavo da vivere aiutando con i lavori in legno, dando una mano nella fattoria… e raccontando le mie storie ai bambini, Lidda era sempre pronta a gridare, con una ascia di legno in mano: “Osborn l’eroe è il mio fratellone!”» gli occhi dell'halfling si riempirono di lacrime. Nostalgia e gioia si contendevano il suo volto.
«Rimasi lì altri sette anni, quasi otto, in realtà, dopo essere tornato dalla missione nel Piano dell’Aria… il mio “pensionamento”. Molto è cambiato nei dieci anni passati da quando ho conosciuto Lidda. Lei ne ha diciannove ormai, non è più la bambina che prende l’ascia di legno costruitagli dal fratellone, che gioca a fare l’eroina. È una donna ormai, una persona che è giusto sia separata dell’identità che si era costruita attorno a quel pazzo di suo fratello. Una giovane ragazza che deve stare con la persona che vuole al suo fianco, anche se il fratellone non lo approva. Il viaggio planare non aveva mai smesso di tirarmi a sé, le mani non avevano mai smesso di prudere. Forse, prima che si allontanasse da me e dalla sua famiglia, quando furono dette quelle parole che fanno ancora così male… suppongo fosse quello il motivo per cui non ho avuto il coraggio di dirle che era un bravo ragazzo, alla fine; che non era necessario trovare un uomo capace di grandi cose perché lei lo era abbastanza per entrambi; che ero fiero di lei… Ho detto che furono le sue parole a far male, ma sto ancora mentendo a me stesso, sono quelle parole che non ho detto prima che quella porta si chiudesse che mi spezzano ancora il cuore.
«Che poi sono solo io lo stupido: a fare una storia così grande per una ragazza che se ne andava a vivere da sola a meno di una settimana di viaggio, portarmi questo peso nell’anima per una cosa così stupida… Era chiaro che non c’era più bisogno di me, ai Campi Verdi. Osborn il contadino esisteva solo per essere Osborn il combattente che proteggeva la piccola Lidda: il mio pensionamento era finito. Mio padre capì, fu lui a lucidare la mia armatura, non troppi giorni fa.»
La "sesta vita"
«E così sono qui, Sensista» disse, ispirato, il Rosso: «In viaggio di nuovo, all’inizio della mia sesta vita, riprendendo la forma di Osborn “il Rosso”, a rispondere alla chiamata incessante dei piani, a grattare il prurito alle mani, ad unirmi alla lotta per quel bene che c’è a questo multiverso, per cui vale davvero la pena combattere. Ma ovviamente tornerò, ogni volta che potrò! Devo dire quelle parole a mia sorella, e sono sicuro che lei sarà forte abbastanza da perdonarmi… lo è molto più di me».
Osborn fece per stringere un po’ di più la mano del genasi vicino a lui, ma si rese conto che non c’era più alcuna forza nelle dita. «Ehi… Ehi, Sensista!». Scosse l’uomo sdraiato all’ombra di quel tronco, ma non ricevette risposta: la luce aveva lasciato i suoi occhi, il vento nel suo petto aveva iniziato un nuovo viaggio lontano da lui, sul suo volto solo un sorriso per ringraziare il Rosso delle sue storie.
Osborn pianse a lungo al suo fianco. Il giorno dopo lasciò l’albero con della terra smossa tra le sue radici, un cardo piantato nel terreno, e un uomo innamorato della vita nel terreno.
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Dicono di lui - Voci di Taverna
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Icona di Osborn "il Rosso" - Autore Michele Allori, con contributo da IA
Sigil Online (2024) © Thorngage
- Quello hin, Osborn, quello tutto vestito di rosso. Si, dicono che sia stato lui: ha fatto fuori i loro guardiani e li ha liberati tutti e cinque! Nessuno ne è sicuro ma i colpi sui corpi di quegli schiavisti sembrano venire da una piccola scure…
- Lo conosci quell’halfling con l’ascia e l’armatura rosse? Massì, Osborn… Thorngage o roba simile, mi pare si chiami… Lo sai che fa parte della Lega Libera? Viaggia di piano in piano, probabilmente è un Dimensional, ma pare essere più opinionato del tipico indipendente.
- Lo sappiamo entrambi, Carceri è un posto schifoso, e Casa Forca è un luogo ancora più schifoso, eppure sembra che i soldi o il desiderio di fama e gloria attiri chiunque, dato che pare alcuni dimensional, sotto contratto da parte del Collezionista, si siano spinti fin là e abbiano cavato il dente di uno dei titani lì impiccati. Pare che quel piccoletto, Osborn, sia uno di loro, è stato di certo ben pagato!
- Oh, hai sentito? Quell’halfling che chiamano "il Rosso"; no, non ha a che vedere con l'esperienza, dicono sia solo riferito al colore: Pare abbia donato sedicimila grane al tempio di Iside perché aiutino gli infanti nati senz’anima. Sedicimila! Chissà come mai tutta questa generosità…
- Perfino nel Piano Etereo è giunta voce delle opere buone compiute da quell'halfling di nome Osborn. Parecchio tempo fa, durante una delle prime spedizioni verso i Piani Interni, purtroppo la guida della Società dei Viaggiatori dell'Etereo è rimasta uccisa ma, contrariamente alla maggior parte dei mercenari, quello hin ha praticamente rinunciato alla ricompensa ed ha anche sborsato denaro di tasca propria per riportare in vita quello che altro non era che un perfetto sconosciuto. Sicuramente grazie a tale opera di bontà, la società interplanare tiene in alta considerazione il piccoletto.
- Alla fine sembra che qualcuno ci sia riuscito. Alcuni dimensional hanno trovato il centro del Labirinto, non so che abbiano chiesto nè se abbiano incontrato davvero il Signore dei Gufi, ma almeno sono tornati a raccontarlo, e pare che la storia sia autentica: ho anche comprato quel libro illustrato a mio figlio. Che bei disegni, specie quello dove il Rosso cerca di salvare il suo compagno!
- Falegname un corno! Quello va in giro a distruggere immondi e dittatori e poi dice che costruisce tavoli! Per farti capire: l'altro giorno ho sentito che ha ammazzato un ultroloth facendolo letteralmente a pezzi! Pare ci fosse in mezzo una qualche principessa rapita e una possibile guerra tra poteri, non ho capito. Dicono che abbia assalito lo yugoloth senza tregua quando ha sentito la donna chiamare aiuto. La cosa più assurda? dicono che Osborn passasse di lì per puro caso!
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