Brahman

Brahman


In quanto poteri di una delle più longeve culture mai esistite nei mondi materiali, gli dei del Pantheon Vedico sono progrediti parecchio lungo la strada della forza e della trascendenza. I loro pensieri sono un mistero persino per i poteri dotati di conoscenza ed empatia. La verità è che gli dei vedici hanno intessuto le loro intricate ma “legali” trame coinvolgendo un numero incalcolabile di mondi materiali al punto che persino le barbegrigie della Fratellanza dell’Ordine hanno quasi rinunciato a comprenderle.

Ma ecco il dettaglio più interessante del pantheon (per lo meno per quanti si interessino di simili faccende): dietro la molteplicità di poteri giace una forza che attraversa tutto ciò che esiste, il sognatore del pantheon da cui si originano tutti i sogni – il Brahman1.

Descrizione

L'occhio non vi giunge, non vi giunge la parola e neppure il pensiero. Non sappiamo, non conosciamo in qual modo possa essere insegnato. Esso è diverso da ciò che è conosciuto e anche al di là di ciò che è ignoto […].
Ciò che non può essere espresso con la parola, ciò per mezzo del quale la parola viene espressa, questo sappi che è il Brahman. Non è ciò che il volgo venera come tale.
Ciò che non può essere pensato con il pensiero, ciò per mezzo del quale, dicono, il pensiero viene pensato, questo sappi che è il Brahman. Non è ciò che il volgo venera come tale.
Ciò che non può essere veduto con l'occhio, ciò per mezzo del quale gli occhi vedono, questo sappi che è il Brahman. Non è ciò che il volgo venera come tale.
Ciò che non può essere ascoltato con l'orecchio, ciò per mezzo del quale l'ascolto si realizza, questo sappi che è il Brahman. Non è ciò che il volgo venera come tale.
Ciò che non respira con il respiro, ciò per mezzo del quale il respiro viene tratto, questo sappi che è il Brahman. Non è ciò che il volgo venera come tale.
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Va detto che il Brahman non è facilmente definibile: secondo i più saggi vegliardi seguaci del pantheon, nessuna definizione, per quanto appropriata, potrebbe essere davvero esaustiva: essi dichiarano che il Brahman sia l'Assoluto — al di là di ogni distinzione e dualità — che fonda e trascende ogni realtà del Multiverso: esso non è separato rispetto alle specifiche realtà di cui è origine ma neppure si identifica completamente con esse. Queste caratteristiche avvicinano notevolmente il Brahman alla Fonte in cui credono i Divini; non è fuori luogo affermare che La Fonte e Il Brahman potrebbero essere solo due nomi diversi attribuiti alla medesima entità.

Coerentemente con queste rarefatte asserizioni, molti seguaci del pantheon vedico non ritengono che la logica discorsiva sia un mezzo davvero adeguato per comprendere il Brahman: essi, dunque, preferiscono cercare di intenderlo grazie a silenziose ed intense meditazioni. Non è un segreto, inoltre, che i più grandi eroi delle terre ove il pantheon opera siano saggi meditativi e contemplativi, piuttosto che sgherri che agiscono senza pensare.

Altri, tuttavia, hanno ritenuto che cercare di definire il Brahman fosse un'azione non solo dotata di senso ma necessaria: se non se ne parlasse, infatti, i più non saprebbero della sua esistenza né lo cercherebbero e dunque non avrebbero neppure la possibilità di comprenderlo davvero. Per questa ragione sono state formulate molte interpretazioni del Brahman, che ne colgono vari aspetti: ciascuno di questi può essere considerato preponderante dai seguaci del Pantheon Vedico.

I continui percettibili

Quando cerchiamo di arrivare alla sorgente dei un qualsiasi aspetto del manifesto, siamo portati a concludere che deve esistere, al di là delle forme e delle apparenze, uno stato causale, un continuum non differenziato di cui tale aspetto è uno sviluppo visibile.

Spazio

Il substrato continuo più evidente, che serve quale supporto alle forme del mondo percettibile, sembra essere lo spazio. Lo spazio vuoto, assoluto è definito dai filosofi seguaci del Pantheon Vedico come un continuum senza limiti, indifferenziato e indivisibile che chiamano etere (akasha) e in cui sono ostruite le suddivisioni immaginarie dello spazio relativo. La localizzazione visibile dei corpi celesti e dei loro movimenti crea l'illusione di una ripartizione che appare reale soltanto per le nostre percezioni limitate, perché, in realtà, secondo l'esempio classico "lo spazio interno della giara non è veramente separato dallo spazio esterno". Infatti, non vi era distinzione quando la giara non era ancora stata fabbricata e non ve ne sarà quando si frantumerà; dunque, lo spazio non sarà realmente distinto neanche durante il tempo in cui esisterà la giara, di cui persino la sostanza è solo un'apparenza. Le divisioni dello spazio in atomi o in sfere celesti sono soltanto illusorie e le loro dimensioni esistono unicamente nell'ottica delle nostre percezioni. Lo spazio all'interno di un atomo è tanto vasto quanto quello di un sistema solare e potrebbero non esserci limiti al numero di mondi contenuti gli uni negli altri.

Tempo

Analogamente, il substrato del tempo è chiamato akhanda-dan dayamana, "simile ad un bastone invisibile" o continuum. Questo tempo assoluto è un'eternità sempre presente, inseparabile dallo spazio. Le forme del tempo relativo sono il risultato della divisione visibile dello spazio dovuta al ritmo dei corpi celesti.

Pensiero

Il terzo continuum percettibile — dicono i seguaci del Pantheon Vedico — è costituito dal pensiero. Ogni cosa che esiste appare con una forma definita in un sistema coordinato. L'universo sembra essere la realizzazione di un piano, la materializzazione di un sogno organizzato. Ecco perché il mondovisibile deve essere considerato la forma cristallizzata del pensiero di un creatore, dato che ogni volta che noi andiamo fino al fondo di un aspetto del mondo, non troviamo più solo una sostanza ma una formula, un concetto la cui natura può essere accostata a quella del pensiero.

Le tre forme dell'essere

Se consideriamo il multiverso non come un meccanismo inconscio, ma come uno stato creativo, come la manifestazione di un pensiero, di una volontà, siamo portati a cercare un substrato attivo, potremmo quasi dire vivente, per ciascun continuum percettibile.

Allora, il substrato dello spazio appare come l'esistenza (sat); il substrato del tempo come l'esperienza o beatitudine (ananda); il substrato del pensiero come la coscienza (cit).

L'esistenza (sat), substrato dello spazio

Affinché un luogo, un'area, una dimensione possano esistere, occorre che vi sia qualcosa da mettervi dentro, una forma qualunque di esistenza. Il non esistente non ha né luoghi né misure. Dunque, l'esistenza deve precedere lo spazio.

L'esperienza o beatitudine (ananda), substrato del tempo

Sappi che il Brahman è beatitudine (ananda), perché dalla beatitudine nascono invero gli esseri, mediante la beatitudine, una volta che sono nati, vivono, nella beatitudine ritornano allorché muoiono.3

Il tempo esiste soltanto in rapporto ad una percezione. Un tempo non percepito non può avere una durata, non può essere la misura di nulla. Il principio della percezione deve quindi precedere il tempo. Questa percezione primaria, potenziale, indifferenziata, questo primo principio dell'esperienza corrisponderebbe alla beatitudine perfetta, alla gioia pura, assoluta, che è la natura ultima dell'esistenza.

Shiva, il Signore del Sonno, che è il principio della disintegrazione (tamas), è il principio del tempo, il distruttore, ed è nel medesimo momento il principio dell'esperienza, della beatitudine, il cui simbolo è la sorgente della vita, del piacere, cioè il linga o fallo. La beatitudine che è la vita, e il tempo che è la morte, sembrano dunque due aspetti di un'unica entità. La fonte della vita e dell'immortalità (a-mrita) è la medesima diquella della morte (mrita), un simbolo che si esprime in tutte le tradizioni con l'unione dell'amore e della morte (a-mor e mor-tis).

Siccome la beatitudine è la forma dell'esperienza, il continuum beatitudine, base dell'esperienza, è conosciuto con il nome di sensazione (rasa) o emozione.

L'esperienza di una beatitudine pura, senza limiti, considerata natura intima delle cose, implica la realizzazione del tempo assoluto che è l'eternità, l'attimo sempre presente. L'essere che raggiunge questo stadio è liberato dai legami dell'azione.

Il Sé o anima (atman), substrato della coscienza.

Questo Sé è inafferrabile perché non può essere ghermito, indistruttibile perché non può essere distrutto, inattaccabile perché a nulla è attaccato4; libero, da nulla viene turbato e nulla lo lede.5

Il substrato del pensiero è la coscienza. Un pensiero può esistere soltanto in uno spirito consapevole. Non ci può essere pensiero senza pensatore, senza una qualche forma di individualità che sia cosciente della propria esistenza.

Dunque, la coscienza sembra un substrato inevitabile del pensiero ed è inseparabile dalla nozione di esistenza individuale, di qualche sorta di monade, di sé, di essere personale e durevole. Poiché la coscienza è necessariamente legata a una nozione di individualità, il luogo della coscienza universale è chiamato il (atman). Tale Immensità senza forma, substrato ultimo della coscienza, è sperimentata come vuoto, silenzio, oscurità totale nella regione senza limiti che spazia oltre lo spirito, oltre l'intelligienza. Essa è percepita dalle creature, nell'interiorità del loro essere, come un vuoto che è il loro "io" più profondo, un io comune a tutti gli esseri, l'Oceano senza forma del Sé da cui emerge la natura particolareggiata di ogni individuo.

Non è nato e non muore mai, non ha origine da acuna cosa e mai è diventato; increato, costante, eterno, primordiale, non viene ucciso allorché il corpo viene ucciso.6

L'anima, il Sé, è un'unità che congiunge tutti gli esseri individuali. Costituisce un continuum indivisibile in cui gli esseri compaiono come entità coscienti individuali. Ogni cosa che esiste racchiude una particella dell'anima così come ogni forma circonda una particella di spazio e ogni attimo avvolge una particella di tempo. Tuttavia, anche se la suddivisione dell'anima dà vita agli esseri individuali, un po' come la suddivisione dello spazio dona la forma alle anfore, l'anima individuale non è mai veramente separata dall'anima multiversale, dal Sé, substrato continuo della coscienza multiversale.

Tutte le esperienze dell'anima sono esperienze di una identità: ecco perché la coscienza assoluta è chiamata Sé, il se stesso di ciascun essere individuale.

Colui il quale conosce il vasto spazio racchiuso nella caverna del cuore, realizza tutti i desideri ed entra in contatto con l'Immensità.7

In quanto substrato della coscienza l'atman è il Sé, la natura profonda e la somma di tutte le divinità, di tutte le forme del multiverso manifesto, di tutti gli esseri animati.

Il Sé, continuum della coscienza che penetra in ogni cosa, diventa l'unico oggetto della meditazione del saggio realizzato, di colui che ha conseguito la mukti.

Non è per nulla toccato dalle azioni accumulate che foggiano l'individualità dell'essere vivente. Tuttavia, al contatto dei singoli caratteri, sembra colorato da essi come un cristallo che pare diventare rosso se lo si pone accanto ad una rosa del medesimo colore.

NOTA : l'io e il Sé

Vi è una profonda differenza tra la nozione di o anima e l'entità che forma l'individualità, l'io. L'anima — sostengono i vegliardi che venerano il Pantheon Vedico — è un continuum che esiste all'interno e all'esterno di tutte le cose. L'io o individualità è soltanto un nodo temporaneo, un punto particolare della coscienza dove sono legate insieme diverse facoltà multiversali. È un centro specifico in un punto del Sé indefinito, costituito dalla congiunzione di diverse correnti, proprio come un oggetto è un gruppo di energie legate insieme in un punto localizzato nello spazio indefinito. Il Sé può esistere indipendentemente da ogni nozione particolareggiata, senza il pensiero. Non è uguale all'io, centro di quella vibrazione che è il pensiero.

Interpretazioni del Brahman

Interpretazione (o aspetto) impersonale: Nirguna Brahman

Spesso si parla del Brahman come dell'infinita energia che genera e mantiene il Multiverso intero. Esso costituisce anche l'intima essenza di tutti i Poteri o perlomeno di quelli del Pantheon Vedico. Per conoscere questo spirito, gli dei vedici rivolgono le proprie attenzioni dentro se stessi, cercando di conoscere la reale essenza delle proprie anime immortali e di trovare il proprio posto nel Multiverso.

A causa di queste sue caratteristiche, il Brahman è stato accostato spesso alla Cadenza dei Piani in cui credono i Cifrati. va sottolineato, però, che mentre i Cifrati ritengono di dover agire per conoscere la Cadenza, molti di coloro che cercano il Brahman meditano immobili, considerando il movimento una distrazione.

Come si vedrà, la filosofia dei Cifrati si avvicina — ma solo per alcuni aspetti — anche ad un'altra nozione relativa al Pantheon Vedico, quella di Dharma.

Interpretazione (o aspetto) personale: Saguna Brahman

Alcuni seguaci del pantheon, peraltro, sostengono l'identità del Brahman con una divinità specifica - in particolare Shiva o Vishnu. In questo suo aspetto più personale, il Brahman è sovente chiamato Isvara - letteralmente Signore - e in questo senso alcuni lo accostano al Grande Ignoto venerato dagli Athar.

Il Brahman ed il Pantheon Vedico

Il Brahman, date le sue caratteristiche, è alla base di alcune inusuali caratteristiche proprie del Pantheon Vedico.

Fonte ed essenza degli dei

Tutti gli dei sono il Sé e ogni cosa è nel Sé.8

Il sovrano del cielo e tutti gli dei formano il Sé supremo. È supremo perché include tutto.9

Innanzitutto i saggi credono che senza il Brahman, le divinità vediche non esisterebbero: esso costituisce la loro essenza più profonda. Inoltre essi ritengono che le varie divinità del pantheon costituiscano manifestazioni particolari del Brahman utili ai più per mettersi in contatto con esso. La mente dei mortali, infatti — perlomeno di quelli non avvezzi alla meditazione profonda — non è in grado di concentrarsi sull'irrapresentabile ed ha bisogno di forme definite — gli dei appunto — per continuare a funzionare. Anche coloro che vedono il Brahman come un Signore personale e lo identificano con un dio specifico del pantheon, credono che tutti gli altri dei (perlomeno quelli vedici) siano solo sue manifestazioni. Va detto che, comunque, la maggior parte dei vegliardi considera comunque gli dei dotati di realtà; essi sono veri Poteri e non soltanto specchietti per le allodole: semplicemente rimandano ad un qualcosa di più grande di loro.

Potere e numero degli dei

Il Brahman non consente solo l'esistenza degli dei, ma è fondamento anche del loro potere. Si tratta di una distinzione importante poiché nel pantheon vedico vi è una differenza molto marcata fra questi due tratti. Solitamente, le divinità maschili del pantheon rappresentano la natura del divino, quelle femminili la sua potenza. Per questa ragione, tutte le divinità vediche hanno sempre una controparte di sesso opposto, dalla quale raramente si separano.

Più in generale, il Brahman fra in modo che tutti gli dei del pantheon condividano fra loro il proprio potere; ciò è possibile perché Esso è la loro fonte comune. Quindi, se un dio perde un supplicante a favore di un altra divinità a causa del ciclo delle reincarnazioni, non subisce alcuna perdita. Questa peculiarità è particolarmente evidente nel caso del dio Brahma: benché sia stato punito per la sua superbia da Shiva — che lo ha privato della possibilità di essere adorato — egli non è morto come capita solitamente ai poteri che perdono i propri seguaci.

Questa condivisione irrita gli altri poteri dei piani: essi non possono capire come un qualsiasi pantheon possa sacrificarsi in favore di un potere maggiore (o qualsiasi cosa sia realmente il Brahman).

Ovviamente, anche il Brahman stesso possiede un suo potere, altrimenti non potrebbe manifestarlo attraverso gli dei. Dato che il Brahman è l'Assoluto al di là di ogni limite, anche il suo potere non ha limite. Oltre a ciò, la caratteristica peculiare del potere del Brahman è la generazione. In virtù della sua stessa sovrabbondanza, esso dà origine a tutto ciò che esiste (almeno secondo i seguaci del pantehon vedico). Unendo queste due caratteristiche — l'illimitatezza e la generazione — ne consegue che le realtà che traggono origine dal Brahman sono potenzialmente infinite. Ora, se c'è una cosa che certamente da Esso trae origine, questo è il Pantheon Vedico. Per questa ragione molti saggi e vegliardi — anche non devoti a questo pantheon — affermano che il numero di divinità che esso fa esistere sia infinito. Non vi sono prove empiriche che le cose stiano esattamente così, ma è certo che il numero degli dei vedici è sterminato; i Governieri, nel tentativo (finora vano) di catalogarle tutte, ne hanno contate decine di migliaia.

Per approfondire: il numero degli dei vedici

Interscambiabilità e venerazione degli dei

«Quanti Dei vi sono realmente, o Yajnavalkya?», «Uno» egli disse. «Ora rispondi a un'altra domanda: Agni, Vayu, Aditya, Kala [tempo], Prana [respiro], Anna [cibo], Brahma, Rudra, Vishnu; alcuni meditano su di uno, altri su di un altro. Quale di essi è il migliore per noi?». Ed egli rispose: «Queste non sono che le principali manifestazioni del supremo, immortale, incorporeo Brahman… Brahman, in verità, è tutto questo e si può meditare, adorare o anche ignorare quelle che sono le sue manifestazioni»10

Come detto, gli dei vedici manifestano i vari aspetti particolari dell'unico assoluto Brahman e sono ad Esso essenzialmente legati. I seguaci del pantheon sono consapevoli di tale stretta comunione, e ciò influenza le loro credenze. Come ogni rosso ben sa, a loro volta le credenze dei mortali modellano gli dei stessi. In questo caso, il legame fra gli dei vedici ed il Brahman ha, in ultima istanza, alcuni curiosi effetti sull'individualità dei primi. Tutti gli dei vedici sono dotati di una ben definita specificità, come qualunque altro potere dei Piani; eppure, al contempo, le loro forme si intersecano e si confondono spesso in modo singolare. Per esempio, Kali è considerata da molti suoi fedeli come la divinità suprema. Al contempo, però, se ne parla altrettanto spesso come emanazione di Durga o aspetto di Agni. Varuna è talvolta identificato con Indra o con Mitra. Shiva e Vishnu sono spesso visti come le due facce della stessa medaglia e ciascuno è considerato — altrettanto frequentemente — come la divinità suprema. Sul piano della venerazione da parte dei fedeli, dunque, è inusuale che tutte le divinità vediche vengano adorate da un singolo seguace: egli sceglierà invece quale potere (o gruppo di poteri) risponda meglio alla propria interiorità e venererà quello. Talvolta questa esclusività sarà totale e la venerazione assumerà caratteristiche monoteistiche. Altre volte, il fedele avrà una visione enoteistca, venerando anche altre divinità ma considerandole inferiori o comunque non rispondenti alla propria indole. Quest'ultima strada non è poi così inusuale — anche i chierici di molti altri pantheon venerano una divinità soltanto.

Ciò che sembra peculiare degli dei vedici, tuttavia, è la compresenza, nel loro pantheon, di più gerarchie contraddittorie. Come molti sgherri e raminghi dei piani possono confermare, il multiverso ospita molte cose almeno in apparenza contrarie alla logica11. In questo caso, non manca tuttavia una giustificazione per queste strane strutture di potere: esse sono sostenute dalla presenza, a monte, dell'unico Brahman — l'unico ente che detenga un potere autonomo. Il Pantheon Vedico, inoltre, è antichissimo; come detto, coloro che lo compongono non sono attaccati al potere come la maggior parte delle altre divinità. Nel corso delle ere, dunque, la supremazia all'interno del pantheon non solo è stata attribuita a più divinità contemporaneamente ma è passata spesso di mano. Ciò non è avvenuto — come nel caso dei Poteri Greci — attraverso brutali usurpazioni, ma seguendo docilmente la legge che governa il multiverso e la fede dei mortali.

Gli dei del Pantheon Vedico, emanazioni e aspetti del Brahman

Analogie con altri pantheon: Brahman e Neter Neteru

Come si è visto, il Brahman è una delle nozioni preliminari che permettono di inquadrare correttamente il Pantheon Vedico, ancor prima di iniziare ad analizzarne i componenti (l'altra nozione fondante è quella di Dharma). Come si è argomentato, essa presenta alcune somiglianze con gli ideali più importanti di acune Fazioni.

Ma nel vasto ambito delle religioni, tale concetto è proprio unicamente del Pantheon Vedico o si può ritrovare qualche assonanza con esso presso altri gruppi di divinità? Dopotutto, il Pantheon Vedico è molto antico e potrebbe aver influenzato (o essere stato influenzato da) altri poteri.

Secondo il parere di molte barbegrigie, in effetti, sussistono forti parallelismi fra questo pilastro concettuale del Pantheon Vedico e l'idea — analogamente fondante per il Pantheon Egizio — di Neter Neteru.

Secondo alcuni approcci nello studio della religione egizia — che tentano di indagarne gli aspetti di carattere esoterico — diviene, infatti, troppo riduttivo considerarla politeistica. Gli dei (neteru) potrebbero infatti simboleggiare la molteplicità delle forze che permettono la vita, le funzioni della natura attraverso le quali la Creazione è venuta in essere e si mantiene. La loro rappresentazione attraverso immagini antropomorfiche e all'interno di una struttura genealogica, non è che un escamotage simbolico-figurativo per facilitarne la comprensione intuitiva ad una mentalità di natura prettamente logica e razionale. Fermarsi infatti ad un'interpretazione superficiale basata solo sulle apparenze, rischierebbe di soffocarne il valore spirituale nascosto.

Gli dei egizi (neteru) potrebbero quindi avere lo scopo di rappresentare le differenti sfaccettature che compongono la medesima realtà, denominata in geroglifico Neter Neteru , il Dio degli dei, la suprema divinità che le include tutte, esattamente come le diverse sfaccettature che compongono un solo diamante. Scomporre in piccoli sottoinsiemi la natura di un organismo o di un'entità difficile da comprendere nella sua interezza, è insita nella modalità umana di condurre una ricerca, ma non dovrebbe essere confusa con il fine della ricerca.

Presso i seguaci del Pantheon Egizio la concezione di Neter Neteru non è forse diffusa quanto quella di Brahman fra gli adoratori degli dei vedici. Molti saggi sacerdoti egizi sono, tuttavia, ben consapevoli di questa realtà, e pare che la loro visione sia monoteistica similmente a quella Athar del Grande Ignoto.


Bibliografia
1. Alain Daniélou Miti e dei dell'India – I mille volti del pantheon induista, BUR Saggi, 2002
2. Giovanni Filoramo, Marcello Massenzio, Massimo Raveri, Paolo Scarpi Manuale di storia delle religioni, Manuali Laterza, 1998
3. Colin McComb, Robh Ruppel On Hallowed Ground, TSR, Inc., Ottobre 1996; le medesime informazioni sono riportate anche alla pagina Divinità Vediche su sigilonline.altervista.org - vedi la pagina
4. Contributi di approfondimento da parte dello staff di Planescape.it (raccordi e parallelismi fra la mitologia e la filosofia indiane e l'ambientazione di Planescape)
5. Brahman su wikipedia.org - vedi la pagina
6. Saṃsāra su wikipedia.org - vedi la pagina
7. Mokṣa su wikipedia.org - vedi la pagina
8. Religione egizia su wikipedia.org - vedi la pagina

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